equiseto

Equisetum L. è un genere di piante appartenenti alla famiglia Equisetaceae, conosciute comunemente come “code di cavallo”. Questa pianta è considerata un vero e proprio fossile vivente in quanto era già presente sulla terra nel periodo Carbonifero (dai 380 ai 250 milioni di anni fa). Odiato dagli agricoltori perché infestante e difficile da estirpare, l’equiseto è invece apprezzato dalla medicina popolare e trova un certo spazio anche tra gli scaffali delle moderne erboristerie. Oggi ne esistono oltre 30 specie, ma a parte l’equiseto arvense, piuttosto comune nelle zone di campagna e di montagna del Nord Italia, quasi tutte le altre specie non sono adatte all’uso interno perché tossiche. Per questo è sconsigliata la raccolta “fai-da-te”, ma è meglio acquistarlo in erboristeria.

Proprietà. Le proprietà medicamentose dell’equiseto sono note fin dai tempi del celebre medico greco Galeno il quale lo citò come pianta amara ed astringente utile nel cicatrizzare le ferite anche gravi e rimedio efficace contro le ulcere intestinali e la dissenteria. Il fusto sterile della pianta è ricco di silice, calcio, magnesio, potassio, saponine, flavonoidi, fitosteroli e tannini. Proprio l’alto contenuto di minerali ne spiega le doti principalmente diuretiche e disinfettanti, ma può anche tornare utile per remineralizzare il tessuto osseo, rendendolo più forte e resistente. Allo stesso modo, può influire sulla salute della dentatura, ma anche di capelli e unghie. Non è però tutto, perché l’equiseto trova anche una lunga serie di applicazioni estetiche. Conosciuto anche come “argilla vegetale” per la ricchezza di minerali e le sue proprietà, può essere applicato localmente per trattare la cellulite, edemi e mancanza di tonicità dei tessuti, e infatti è molto utilizzato anche nella prevenzione di rughe ed invecchiamento cutaneo. Infine, possiede delle peculiarità blandamente astringenti, che possono essere sfruttate per contenere i gonfiori locali, sia dovuti a traumi che a ritenzione idrica.

Qualche curiosità. L’equiseto è chiamato anche “carta vetrata naturale” ed era utilizzato fin dall’antichità per lucidare i legni ed i metalli proprio per la ruvidezza delle sue foglie dovuta alla notevole quantità di silice contenuta. A tale scopo veniva anche commercializzato sotto forma di polvere finissima per forbire le casseruole e per pulire le delicate opere di legno o di metallo degli artigiani. Presso i contadini era in uso utilizzare la pianta anche in cucina come alimento di discreto potere nutritivo da sostituire carne e pesce. Allo scopo venivano bolliti nell’acqua i giovani germogli fertili e poi infarinati e cotti nell’olio, oppure venivano conservati e mangiati sotto forma di canditi all’aceto.

Marica De Bonis

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