MERCOLEDÌ 8 SETTEMBRE 2010
IL DISCORSO DELLA VECCHIAIA, di Girolamo Melis
«Noi ci siamo gettati con troppa foga e avidità verso il futuro perché ci potesse restare un passato. S’è spezzato il legame coi tempi. Abbiamo vissuto troppo nel futuro, pensato troppo ad esso, in esso troppo creduto, e per noi non c’è una attualità autosufficiente: abbiamo perso il senso del presente. Noi siamo i testimoni e i compartecipi di grandi cataclismi sociali, scientifici e d’altri ancora. La vita quotidiana è rimasta indietro. Secondo una splendida iperbole del primo Majakovskij, “l’altra gamba corre ancora nella via accanto”.
Sappiamo che già i più intimi pensieri dei nostri padri erano in disaccordo con la loro vita quotidiana. Abbiamo letto pagine severe sulla vecchia vita mal aerata che i nostri padri prendevano a nolo. Ma i nostri padri avevano ancora dei residui di fede nel suo carattere confortevole e universale. Ai figli è rimasto soltanto un odio nudo per il ciarpame ancora più logoro ed estraneo di quella vita. Ed ecco che “i tentativi di organizzare la vita personale assomigliano agli esperimenti per scaldare un gelato”.
Neppure il futuro ci appartiene. Tra qualche decennio ci affibbieranno duramente il titolo di “uomini dello scorso millennio”.» …
Con queste parole del 1930, il giovane Roman Jakobson chiudeva la sua commemorazione della morte del giovane poeta russo Vladimir Majakovskij.
Ma queste parole acquistano un significato spaventoso se le si leggono come epitaffio e al tempo stesso come rivolta sotto il titolo: Una generazione che ha dissipato i suoi poeti.
Nel contesto del compimento del destino di modernità, di “progresso”, di dominio dell’Uomo sulla Terra, di appropriazione del futuro.
1930: si compie e si consolida la rivoluzione sovietica, marxista-leninista, e con essa l’ipoteca dell’uomo progressista-economico-storico sull’uomo del Sacro, sulla Persona, sul Poeta, sul Mondo Vecchio.
Poco importa – anzi molto importa e perciò si deve tacere, mistificare, inglobare – se contestualmente il Poeta Giovane si suicida.
E poco importa se già da due-tre decenni il pensiero filosofico-scientifico occidentale stava sgretolando proprio quel neo-mondo della Tecnica e dell’Economia scientifica che si è appena installato al potere con tutti i nomi in –ismo.
Una irreversibilità storica si avviava ad oscurare ogni libertà: comunismo o liberalismo, fascismo o nazismo, conservatorismo o progressismo, tutto è futuro.
Il mondo è dei Giovani. I Vecchi saranno cancellati in quanto testimonianza del Sacro, dell’Uno, della Parola.
Jakobson làpida questa dilapidazione con il vaticinio tremendo:
«Tra qualche decennio ci affibbieranno duramente il titolo di ‘uomini dello scorso milennio’» – cioè residuati, scarti.
Ma poi, l’immenso studioso Roman Jakobson ha vissuto abbastanza per vedere – ben prima del volgere del suo secolo a questo nostro – che sono gli uomini della Tecnica e del Progresso ad essere oggi terribilmente incasellati come sopravvissuti, ancorché tiranni, carcerieri della speranza.
Come crisi, come fine della modernità, come morte d’ogni illusione virtuosa, poiché la scienza ha prodotto il suo mostro, la bomba atomica, fine del progressismo.
*
Nel nostro Millennio – in cui perdura il vaneggiamento sulla parola “Giovane” – non è stata ammessa, tuttavia, la parola Vecchio. Essa è rimasta sepolta sotto le macerie del ‘900, che si sono sovrapposte alle tante macerie dei secoli precedenti, da quelli del Rinascimento e dell’Illuminismo; dal tempo in cui l’Uomo s’è gloriato della morte di Dio e della sua clonazione con i piedi per terra.
Vecchio.
Vecchio è cancellato dalla bomba atomica dell’eufemismo.
Vecchio è diventata parola oscena. Indicibile. Estranea alla forma senza forma del sociale. Ribelle all’obesità a causa della sua forma, del suo simbolo, del suo significante sacro.
Cancellato per Legge.
Dopo XY anni di “anzianità lavorativa” si acquista il diritto di andare in pensione.
Andare in Pensione sancisce, per Legge, la messa a Riposo del Lavoratore, al quale si riconosce il Diritto di non lavorare più.
Questa conquista sociale, per la quale molte generazioni si sono arrabattate in molti Paesi e in molti Parlamenti dell’Occidente, con o senza i buoni uffci dei Rappresentanti dei Sindacati dei Lavoratori, rende gli uomini e le donne finalmente affrancati dalla necessità di esercitare una funzione socialmente o economicamente utile, produttiva.
Nella realtà, questa Legge democratica, progressista, liberale e grata, sancisce l’ingresso degli Anziani nel loro lazzaretto di inutilità, di residuo, di scarto.
E li installa nello spazio sociale, immobiliare, alimentare, sanitario, verbale, morale, ecologico di Ingombro. Di spesa sociale.
Il Vecchio non era maneggevole, non poteva essere accantonato. Perciò è stato rimosso per Legge.
La scelta della parola Anziano è la cartina al tornasole del Linguaggio di questa nostra Italia e della sua cultura. Non è una parola come un’altra, non è innocente e non è innocua. Le parole omologhe e omofone, ancien della lingua Francese, ancient della lingua Inglese, radicate nello stesso ceppo anticuus, non lo abbandonano e non lo attenuano, tanto meno lo negano. Entrambe – pur con diverso grediente di senso – conservano il significato di antico e di vecchio. Le troviamo ad indicare i tempi andati (e talvolta esprimendo un giudizio storico-morale, come nella locuzione francese ancien régime), ma sempre mantenendo il pieno senso del valore e della dignità allorché designano una persona vecchia.
La parola buro-italiana, invece, rompe netta ogni radice del tempo storico, del valore, del consentimento al mondo antico, all’ancestrale, al fondamento sacro dell’uomo e della sua famiglia. La scelta di una “traduzione letterale” di ancien e di ancient è accuratamente fatta nella piena consapevolezza di quella rottura. Oh, non che i burocrati siano linguisti di qualità! E’ stata una scelta “italiana”, sotto il segno della furbata.
Sicché, eccola, la parola anziano: senza sacralità, senza tempo storico, senza corona di capelli bianchi, senza scettro regale, perfino senza vaneggiamento e arbitrio, perfino senza costeggiare il significato di reperto, di tempio diroccato…
Ecco il suo significante senza altro rimando che al suono:
anziano, anzi-ano, avanti-piano… colui che va avanti… piano, che non puo’ andare avanti… se non… piano, impedito, inciampante e traballante, e soprattutto… ingombrante, ostacolante il… cammino spedito dei giovani, dei forti, dei sani…
Non prendiamo alla leggera questa indagine dentro la parola anziano, non c’è da ridere né tantomeno da sorridere. Non ha lo scatto finale della parola francese ancien, che si pronuncia come un’esortazione, con uno scatto espressivo (ancien!) né l’imperiosità della parola inglese ancient, che, con la prima “a” accentata, segna quasi un punto di partenza del voler dire.
An-zi-à-no è pesante e sconfitto come un corpo che si abbatte artritico sulla prima panca che trova.
E’ così che il Vecchio è stato ridotto a scarto. E i Vecchi hanno aderito, riconoscendosi in una categoria protetta. Forse per non restare più ai margini dei malati, dei disabili, degli andicappati. Per non essere cacciati da casa. Per cercare riparo sotto una qualsiasi Legge che regolamentasse la vita (la sopravvivenza) nel rassicurante zig-zag tra diritti e doveri.
Affrancati dal Lavoro, dalle leggi economiche, nella grande paura di venire espulsi dalla famiglia dei Figli, si sono messi nelle mani della compassione. L’equazione è stata:
La sua Essenza di Vecchio faceva procedere il mondo naturale nel sacro succedersi delle generazioni. Il Vecchio sacrificava il Giovane nella richiesta d’ubbidienza al Dio: il Giovane rispettava il Vecchio pro-gettandone la morte, dunque il permanere ancestrale, la continuità. Poiché il Vecchio era tremendo. Cuspide del Triangolo. Parola. Legge. Poi… poi è venuto il “rispetto anagrafico”.
Il rispetto anagrafico ha fondato l’eufemismo: il tremendo è stato caricaturato in “saggio”; la sapienza è stata caricaturata in “esperienza”; la continuità – da permanere ancestrale – è stata caricaturata in “cognome”. Il Passato è stato rimosso e cancellato in nome del Futuro.
La memoria del Passato è costituita dal Vecchio. Il Vecchio – nella tremenda lingua italiana dell’Eufemismo – è stato nominato Anziano. Anziano è la caricatura, lo sberleffo di Antico. L’Eufemismo “Ma no che non è Vecchio: è Anziano!”
L’Anziano appartiene alla Terza Età. Certo: anche alla Terza Età c’è un limite. La Vecchiaia? Niente affatto: il limite della Terza Età è… la Quarta Età.
La Vecchiaia non arriva mai poiché non c’è mai. Dall’Anzianità – segmenti di stagioni di un anno moltiplicato dai concetti – si trascorre alla Morte, della quale non si parla mai poiché non è opportuno parlarne. La Famiglia dell’Anziano punta tutto sulla Morte e lo dice apertamente: per Legge.
Infatti – poiché il Caro Anziano non muore mai, ma essa ha bisogno di denaro – la Famiglia affida all’Agenzia Immobiliare la vendita della Casa occupata da lui. Certo, non può “vendere” l’Anziano che la sta ancora occupando; e del resto non può sopprimerlo; e qualche ragione ineluttabile (per esempio la “firma” detenuta dall’Anziano) impedisce di sgombrare i locali spedendo l’Anziano in un Ospizio; dunque, la Legge viene in soccorso dei Giovani: i quali vendono la Casa come… “nuda proprietà”: cioè vendono i Muri, lo Spazio, che potrà essere abitato dai nuovi proprietari solo quando l’Anziano avrà sgombrato il campo, insomma sarà morto. Scarto, ingombro. Occupante abusivo di locali dei quali i giovani hanno bisogno. Certo, l’Anziano è anche “amato”. L’Anziano – quando non passa tutto il tempo accasciato su una sedia mormorando “Mah!” – è un babysitter capace e attento. A volte troppo attento, a volte poco, spesso molto amato dai nipotini. Spesso “troppo” amato dai nipotini, che tendono a preferire la sua bizzarra compagnia a quella opprimente dei genitori. Certo, l’Anziano – come dice la parola – è lento. Ingombra i marciapiedi e le porte di passaggio da una stanza all’altra. Infatti non è un Patriarca. Infatti – quando è un “Patriarca” – viene chiamato “il Vecchio”; un po’ con timore un po’ con disprezzo. Incute timore (e spesso paura) perché “i soldi li ha lui”. Non solo: non solo non muore mai ma, anche, è sempre lì tra i piedi, e….. continua a non morire.
L’Anziano pone alla Società il “problema del tempo libero”: troppo tempo libero passato tra i piedi dei giovani, in casa. Perciò l’Anziano va colmato di proposte allettanti affinché se ne vada un po’ fuori dai piedi. L’Anziano ha la “Carta Azzurra” (“azzurra” forse perché l’Anziano si tinge i capelli di un bianco azzurrognolo?). La Carta Azzurra accompagna l’Anziano per tutti i suoi Anni Azzurri, durante i quali potrà “muoversi di casa” e “restare comunque un consumatore”, con facilitazioni economiche sui trasporti, sulla biglietteria di spettacoli, su alcuni servizi. Il nome che si dà a simili “privilegi” è Gratitudine. Ed è sempre in nome della Gratitudine che molti Anziani – in cambio dell’assegno della loro pensione – possono venire ospitati in Luoghi Comuni, una volta detti “Ospizi”; ora, in omaggio all’Eufemismo, chiamati con parole più burocratiche.
Il Vecchio – de-privato d’ogni sacralità – viene così messo a riposo, in una vario-chiamata waiting-list, lista d’attesa. Come Vecchio non avrebbe accettato una simile alienante espropriazione di Ruolo: poiché era lui a decidere e dare i Ruoli. Come Anziano accetta. E accetta di chiamare “tempo libero” il tempo della sua emarginazione da tutto. Tempo e Potere Il valore del Tempo segna e determina la misura del Potere. La nostra civiltà ha voluto scrivere – ri-scrivere – il paradigma del Tempo. Dettando “tempi umani” al Tempo, l’uomo moderno – attraverso almeno due millenni – prima l’ha denotato come Categoria Storica, poi ha preteso di metterlo al suo proprio servizio. Così facendo, ha avviato e perfezionato nei secoli il suo malinconico capolavoro: l’esorcismo della Morte. Il Potere che l’Uomo ha voluto e potuto darsi è questo e questo soltanto: rimuovere dalla Vita la Morte. La Morte come Altro. Dunque non appartenente alla Vita. Dunque, la Vita come esercizio del Potere Umano. E in nome di questo Potere, si è via via andato perfezionando il delirante progetto di negazione della Potenza: la Potenza della Natura, la Potenza dell’Ordine Universale, la Potenza del Sacro, la Potenza di Dio. Il Vecchio, testimone e Simbolo della Potenza – dunque della ridicolizzazione della Storia come Luogo del Potere Umano – non poteva permanere nella sua vitale mortalità, nella sua memoria del Linguaggio dell’Ordine Sacro. E’ stato indispensabile ricondurlo all’ordine anagrafico-storico. A tappa di una successione cronachistica che testimoniasse il Potere dell’Uomo sulla Natura Sacra. L’Umanismo della Storia non celebra l’Uomo, dunque. Ne decreta lo sradicamento dal Sacro. Abbatte il Segno dell’Origine nel nome del Padre Scientifico-Tecnologico. Il Padre Scientifico-Tecnologico esercita il Potere riducendo a simulacro l’archè. A parodìa la Potenza. Ad “anziano” il Vecchio.
Anziano: colui che avanza… piano, che rallenta storicamente il Tempo, che lo cronòmetra, che lo riduce a frattàli d’una eternità modulata e scandita dall’Uomo “eternamente giovane”: la Terza Età, la Quarta Età… poi, la Quinta Età, la Sesta?
Non c’è limite alla Storiografia e al suo braccio armato, la Scienza.
E se il “bambino” – lo stato nascente del mondo – avesse disperato bisogno del Vecchio? Non del “nonno”: del Vecchio! E se il “bambino” d’un mondo ridotto alla ragione – nell’amaro sacrificio della razionalità – avesse bisogno vitale di essere accolto nel “mondo-mondano” da una inarrivabile Distanza? Da un simulacro del Sacro? Da un’ombra che gli rammemorasse il mistero del ventre materno? Da una incomprensibile Divinità non tradotta né traducibile in fattore storico-scientifico? Insomma, se venisse accolto da una “indicibilità economica” – il Vecchio – ch’egli potesse, possa, immaginare invece che apprendere?
E se il “bambino-diventato-adulto” non riuscisse più a sostenere il Mondo del Tempo e della Storia sulle sue spalle riscritte dal fitting, dalle tecnologie, dai trapianti?
E se l’eliminazione materialistico-storica di Dio perfino nell’icona del Vecchio diventasse insopportabilmente dolorosa e straziante proprio nel Luogo, proprio nella Persona che ha voluto riscriversi nell’arlecchinesco linguaggio del Potere compiendo quel sacrilegio, indorandosene e ora piangendone l’impatteggiabile voragine d’abbandono?
Il Vecchio non muore. Il suo Linguaggio appartiene all’ordine della Natura, del Sacro, del Corpo d’Amore che contiene il Tempo e le precarie macchinazioni dell’Uomo: le Leggi della Storia, dell’Economia, della Scienza.
Il Vecchio non abbandona poiché è contenuto nel Bambino e il Bambino è contenuto nella Terra-Madre. Il Vecchio non è abbandonabile per Editto, per delirio di Potere. Egli appartiene ad una Potenza. Il Vecchio è la Voce della Potenza. Espropriato dei segni della Potenza, il Vecchio si lascia confinare nell’ombra. Ma la sua Potenza permane e perdura, nel riconoscimento della Morte non separata dalla Vita.
Vorrei dire che il Vecchio è là ove l’Anziano non è. Vive e muore ove l’Anziano anagrafeggia.
Il Vecchio sa. Utile e inutile Dire che il Vecchio sa, non vuol dire che ha esperienza di mondo, né che il suo “sapere” è qualcosa di riferibile ad una “dote”, ad una sorta di patrimonio di conoscenza storica la cui perdita sarebbe dannosa e la cui capitalizzazione sarebbe dunque…utile. Non è possibile, non foss’altro perché il “Vecchio” non esiste come continuità storico-temporale. Il Vecchio – cancellato come archè, come simbolo di quell’assoluto-relativo che l’uomo si è dato come “Idea di Dio” – è oggi reperibile soltanto nei…Vecchi. E i Vecchi sono persone che muoiono. La loro morte (la nostra morte) scandisce il succedersi delle generazioni. Il succedersi delle generazioni attua, attraverso l’evanescenza della memoria, la cancellazione della continuità. Poi, come abbiamo visto, la macchinazione storica che l’uomo ha messo in opera sul Linguaggio, ha prodotto la de-sacralizzazione di Vecchio passandogli sopra la biacca indecente di Anziano. Il Vecchio, dunque, è morto per mano naturale e per mano… militare. Ma allora che vuol dire “il Vecchio sa”? Diciamo così: “il Vecchio” ci parla dall’ordine stesso di cui noi siamo parte, ci parla nel parlarci di noi e “parla di noi”.
Dire “il Vecchio sa” non è altro, dunque che dire “io so”, “noi sappiamo”. Io non so niente di “Anziano”. Sì – se so distinguere – so che Anziano è un concetto, una definizione storica, sociologica, che è stata data in funzione di una utilità, di una convenienza storica ed economica. So tutto di Vecchio perché lo sa interamente il mio Corpo, la totalità del mio Corpo. Vecchio è ciò che sento, penso, vivo, e non soltanto in attesa della morte. Ma, paradossalmente, in attesa della vita. Vecchio è ben più che una nozione fisica, culturale, storica: è la rammemorazione dell’Origine e del Destino. E, che io lo voglia o no, è la mia percezione-prima della “sacralità” della vita. La sola che mi parli di Sacro, insomma di non determinato da un calcolo della ragione; da una “necessità” del mio essere qui, nel tempo e nella storia. Io punto tutto me stesso, tutta intera la mia vita, il mio riconoscimento dell’Essere, sul mio essere Vecchio nel compimento del mistero Naturale. La mia vita, dunque, nasce nello stare, nel dimorare nella Verità del Vecchio. Nella perfetta simmetria della Vita e della Morte, nel trattino che le unisce, che le struttura. Non più necessario alla storia e al tempo, non più utile all’equazione delirante Uomo = Dio, non più funzione sociale né ruolo di scambio, Io Vecchio sono qui nella mia assoluta libertà-di-mondo. Che ci faccio, allora, immerso nel mondo della storia e del tempo? Mi sottraggo ad ogni astuzia, diavoleria, ad ogni Utilità. Né Utile né Inutile. Né Economico né Storico.
Io Vecchio non sono in quanto cogito. Né in quanto amo. Fuori dalla seduzione e dalla produzione: non espulso in virtù di calcolo o di evoluzione. Mai appartenuto. Mai altro né altrove rispetto all’Origine. Non reclamo alcun ruolo, né mi spetta. Non ho un progetto di Vita né di Morte. Io Vecchio sono l’archè.
Rinnegata l’archè, all’Uomo dei tanti fugaci e fuggitivi mondi moderni non resta che il procedere anziana-mente verso l’abisso della sua demenza.
Il Vecchio non è la Legge. Il Vecchio non è la Giustizia. Il Vecchio non è la Moderazione. Il Vecchio non è il Tribunale della Storia. Il Vecchio non è la Saggezza. Il Vecchio non è la Continuità. Il Vecchio non è il Modello. Il Vecchio non è il Patriarca. Il Vecchio non è il Mondo che fu. Il Vecchio non è il Reggitore. Il Vecchio non è il Testimone. Il Vecchio non è la Guida. Il Vecchio non è la Dignità. Il Vecchio non è la Regalità. Il Vecchio non è il Dio Tonante. Il Vecchio non è il Padre dei Padri. Il Vecchio non è la Cassaforte. Il Vecchio non è l’Arbitrio. Il Vecchio non è la Casa. Il Vecchio non è il Potere. Il Vecchio non è il Traguardo. Il Vecchio non è i Ricordi. Il Vecchio non è la Memoria. ………………………….
Il Vecchio è il Cielo la Terra e l’Acqua. Il Vecchio è il Fuoco. Il Vecchio è la Rammemorazione del Corpo che è, dell’Ordine che è, del Tutto che siamo – nell’essere stati e nel perdurare dell’essere.