VENEZIA: L’ITALIA CHE VALE
MERITO A RIGONI ASIAGO
CHE HANNO RESO POSSIBILE IL RESTAURO del “TODARO”
Venezia, giovedì scorso l’8 giugno 2017 durante una cerimonia nel cuore del Palazzo Ducale alla presenza di autorità Politiche e Religiose la consegna alla città della statua del “Todaro” merito ad uno straordinario recupero e a poco meno di un anno dall’avvio dei lavori di restauro torna all’antico splendore la statua, l’originale dell’opera che sormonta una delle colonne di Piazzetta San Marco – da tempo custodita a Palazzo Ducale: operazione resa possibile grazie alla collaborazione pubblico–privato tra Comune di Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Fondaco e Rigoni di Asiago.
Il restauro, effettuato da «Lares», è stato finanziato da «Rigoni» di Asiago. I restauratori hanno effettuato un’operazione di consolidamento, pulitura, stuccatura, ricostruzione e protezione dei vari elementi lapidei e bronzei. Il restauro, ha ricordato Enrico Bressan, di Fondaco, è stato interamente seguito dalle webcam, con circa 160.000 contatti da tutto il mondo. Mario Massimo Cherido, di Lares – la statua sta bene e si presenta compatta”. Maria Cristina Gribaudi, presidente della Fondazione Musei Civici: ha chiosato “Abbiamo rispettato i tempi. Ha preso poi la parola Andrea Rigoni, amministratore delegato di Rigoni di Asiago, è stato quello di essere un esempio per tutti quelli che hanno la possibilità di prendersi cura del patrimonio culturale ed architettonico. “Fate come me, – ha sottolineato – e l’Italia rinascerà”.Debbo ringraziare chi mi ha dato l’opportunità di fare il restauro di questa statua meravigliosa e ricca di simbolismo. Ho seguito da vicino i lavori, anche attraverso la webcam, e ho potuto vedere giorno per giorno i progressi fatti che l’hanno restituita, come una bella signora, a Venezia.
Quando un anno fa ho incontrato il sindaco, gli ho raccontato quello che rappresentava e rappresenta per noi dell’altopiano dei Sette Comuni la Repubblica di Venezia, di cui storicamente siamo stati alleati. Io qui mi ritrovo a casa mia e sono felice di essere stato una piccola parte del restauro. Lo spirito con cui ho agito, ha concluso Rigoni. La cerimonia è proseguita con un entusiasta e soddisfatto Sindaco della città Luigi Brugnaro – perché quello che ha fatto dimostra che la città metropolitana di Venezia esiste ed è nel cuore di tutti noi. La strada che ha intrapreso è quella del valore etico di impresa. Questa operazione dimostra come dobbiamo agire per la città: tutti, privati e pubblici, insieme. Il futuro è sulle nostre gambe non sui soldi pubblici, ha ribadito con una frase incisiva,
“Si tratta di una grande operazione etica”.
Tolti i drappi rossi che impedivano la vista ali giornalisti, la statua del Todaro è stata finalmente svelata e benedetta da monsignor Antonio Meneguolo.
L’evento si è concluso ai piani superiori del Palazzo Ducale con un brindisi e un buffet offerto dalla RIGONI preparato con grande maestria e bravura da un personaggio molto conosciuto qui a Venezia e non solo, proveniente dalla prova del Cuoco lo Chef Martino Scarpa.
SAN TEODORO
“Il Todaro” primo Patrono di Venezia IV secolo d.C. – XIV secolo La statua raffigurante San Teodoro d’Amansea, il “Todaro”, santo tra i più venerati tra i soldati martiri d’Oriente, patrono di Venezia prima dell’avvento di San Marco, si trovava originariamente sulla sommità della colonna occidentale della Piazzetta San Marco, accanto alla colonna con il leone di San Marco. La figura è formata da un pastiche di pezzi di epoca e provenienza diverse: la testa faceva parte probabilmente di una statua colossale raffigurante Costantino, il busto apparteneva ad una statua loricata di un imperatore romano, forse Adriano; le altre parti del corpo e il drago ai sui piedi, simile ad un coccodrillo, furono aggiunti all’inizio del Trecento. Interessante la diversità dei materiali utilizzati: lo scudo in pietra d’Istria; gambe, braccia e drago in marmo proconnesio (dall’isola di Proconneso nel Mar di Marmara tra il Mar Egeo ed il Mar Nero) la corazza forse in lunense (marmo di Carrara che prende il nome dal porto di Luni) o pentelico (cava del Monte Pentelico a pochi chilometri da Atene usata anche per il Partenone); la testa in marmo bianco proveniente da Docimium presso Afyon in Turchia occidentale. Il drago richiama l’iconografia di San Giorgio, il cui culto, per tradizione, è legato alla protezione dagli impaludamenti e alla salubrità dell’aria.
(Interviste audio sul circuito Radio MILANOINCONTRA)
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La Storia del Todaro:una statua in marmo tra le età Costantiniana e tardo medioevo
a cura di Luigi Sperti*
Se teniamo per buona la data riportata da Francesco Sansovino (1329) il Todaro occupa la colonna occidentale della Piazzetta da quasi settecento anni. Secondo la tradizione le colonne furono completate con le statue del leone bronzeo e del Todaro in epoche diverse. Una delibera del Maggior Consiglio del 1293 ci informa che in quell’anno il leone necessitava di restauri, il che significa che occupava la sommità della colonna da un certo tempo. La prima notizia sul Todaro rimanda ad un periodo posteriore di qualche decennio.
Per proteggerla da eventuali danni bellici nel 1940 la statua fu rimossa dalla colonna e ricoverata nell’abbazia di Praglia, presso Padova. Nel 1948, dopo una lunga polemica alimentata dai giornali locali, fu sostituita da una copia in pietra d’Istria, mentre l’originale fu ricoverato sotto il portico del cortiletto dei Senatori a Palazzo Ducale, dove tuttora si trova. La rimozione del monumento divenne, come spesso accade, un’occasione di studio. La testa viene identificata sulla base del confronto con le immagini monetali in un ritratto di Mitridate VI Eupator, il famoso re del Ponto che tenne per decenni in scacco i Romani sino alla sua morte nel 63 a.C.; mentre il torso decorato da Vittorie che incoronano un trofeo viene correttamente attribuito a una statua loricata di Adriano. Testa e tronco antichi furono quindi integrati con l’aggiunta di gambe e braccia, scudo, armi in metallo, e con la figura del drago, una specie di coccodrillo «dal malinconico muso canino». Anche i materiali sono eterogenei. Lo scudo è in pietra d’Istria, gambe braccia e drago in marmo proconnesio (cave dell’isola di Proconneso nel Mar di Marmara, tra il Mar Egeo ed il Mar Nero), la corazza forse in lunense (marmo di Carrara che prende il nome dal porto di Luni in provincia di La Spezia da dove partivano le esportazioni) pentelico (cava sul versante est del Monte Pentelico a pochi chilometri da Atene, usato anche per il Partenone). La testa è in marmo bianco proveniente da Docimium, presso Afyon in Turchia occidentale. Molti autori concordano sul fatto che lo stato attuale della testa del Todaro è il risultato di una rilavorazione; ma quali parti sono state rilavorate è difficile da stabilire. La base del collo è sproporzionatamente grande rispetto alla testa, pertanto è chiaro che quest’ultima è stata ridotta. Un secondo dettaglio che stona per dimensioni è la corona di quercia, che appare molto aggettante rispetto sia alle ciocche sottostanti sia alla calotta di capelli sul vertice del cranio. È strano che questo attributo così vistoso sia quasi sempre passato inosservato. Nel repertorio figurativo greco la corona di quercia è un attributo raro. Contrariamente a quanto accade nel mondo greco, in età romana la corona di quercia costituisce un attributo piuttosto frequente, in particolare in relazione al ritratto imperiale. Alla fine del III secolo e agli inizi del successivo, alcuni ritratti di Costantino e figli mostrano una corona civica geometrizzata, formata da una doppia fila di foglie sovrapposte, dal contorno molto semplificato, marcate al centro da una sottile nervatura e ai margini da quattro fori di trapano. La corona della testa del Todaro è resa esattamente nello stesso modo, il che indica una datazione in età costantiniana. La datazione in età romana è confermata dalle analisi petrografiche e isotopiche. Che cosa rappresentasse in origine la testa del Todaro rimane incerto, vista l’entità della rilavorazione, ma il confronto con i ritratti costantiniani credo possa considerarsi indicativo. Inoltre le dimensioni superiori al vero (dalla base del collo all’apice 42 cm, circa una volta e mezzo il naturale) suggeriscono che la testa faceva parte di una statua di circa 2.50 m, e le immagini colossali erano riservate di norma a divinità e sovrani. E’ possibile che la testa del Todaro facesse parte in origine di una statua rappresentante Costantino assimilato al dio Sole. Nella sua versione originaria, il ritratto dovette durare poco: in un’epoca imprecisata – ma comunque all’interno del IV secolo d.C. – sembra che la testa sia stata sottoposta ad un’estesa rilavorazione. La corona di quercia è risparmiata, ma la capigliatura viene riscolpita. Ciò che possiamo dire, credo, è che tale metamorfosi avvenne forse in qualche centro dell’Asia Minore, come indica, più che il tipo di marmo, lo stile della capigliatura. Si è più volte suggerito che la testa sia giunta in possesso dei Veneziani a Costantinopoli: da quanto detto, l’ipotesi è plausibile. Una volta giunta a Venezia, s’intervenne nuovamente per adattarla al nuovo contesto.
* Luigi Sperti è docente di archeologia classica al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Estratto da L. Sperti La testa del Todaro: un palinsesto in marmo tra età costantiniana e tardo Medioevo, Le Pietre di Venezia: spolia in se, spolia in re, Convegno Internazionale Venezia 17-18 ottobre 2013 in VENETIA / VENEZIA – QUADERNI DI STORIA E ANTICHITA LAGUNARI, Roma, L’Erma di Bretschneider, pp. 173-193, Convegno: Le Pietre di Venezia: spolia in se, spolia in re, 17-18 ottobre 2013