Grande successo di pubblico e critica per la
54° Edizione della Biennale di Venezia a Torino
Con grande successo si è conclusa la 54° Edizione della Biennale di Venezia (Padiglione Italia, Torino) curata da Vittorio Sgarbi, nell’ultimo capitolo di quest’edizione dedicata al 150° dell’Unità d’Italia e che lo stesso Sgarbi definisce come «la chiusura di un cerchio aperto». Con Torino, infatti, si conclude la prima parte di un virtuale censimento degli artisti iniziato da Sgarbi a Venezia e proseguito durante le Biennali Regionali e che proseguirà in futuro. La cerimonia di chiusura si è tenuta domenica 26 febbraio alla presenza dell’On. Vittorio Sgarbi e del Sindaco di Torino, l’On. Piero Fassino. Tantissimi gli ospiti per il finissage di questo grande evento che ha racchiuso sotto lo stesso tetto più di 600 artisti. «Concedere agli artisti la dignità della propria esistenza», questo è il leitmotiv sgarbiano che per la sua Biennale ha scelto di dare spazio a chi, pur meritandoselo, rimane troppo spesso nell’ombra e a chi, per mancanza di spazio, non è potuto essere a Venezia. Dunque una rivoluzione contro le ipocrisie e contro il sistema, durante la quale, come afferma il Direttore Artistico Giorgia Cassini, «il vangelo del laissez-faire nel poliedrico mondo dell’arte è stato finalmente scoperchiato». Per la Capitale dell’Arte Contemporanea, dunque, è stata riservata «il massimo delle iniziative», come afferma l’Assessore alla Cultura di Torino, Maurizio Braccialarghe, parlando della Biennale torinese, che fino al 30 gennaio sarà visitabile gratuitamente dal pubblico. Iniziativa che secondo il Coordinatore Generale, Giorgio Grasso, porta la democrazia nel mondo dell’arte permettendo «a tutti di vedere tanto».
“Il mondo non ha bisogno di dogmi,
ha bisogno di libera ricerca”.
Bertrand Russell (1872-1970).
Il mondo non ha bisogno di dogmi, il vangelo del laissez-faire nel poliedrico mondo dell’arte è stato finalmente scoperchiato. O meglio sfogliato da pagina a pagina, da nord a sud, dai piccoli borghi che raccontano la nostra storia alle globalizzate e rumorose metropoli. In estrema sintesi è l’afflato positivo ante-litteram che spazza via il “dovrebbe essere” al posto del più concreto e rassicurante “è”. Una sete di scoperta a più livelli per dimostrare che se le antinomie spariscono, allora il sistema non potrà che essere incompleto. Tutto questo in due parole è la “Biennale di Venezia”, la rivoluzione di Vittorio Sgarbi contro le ipocrisie, contro il sistema. Decentralizzazione e indipendenza dal controllo delle “caste” nel mondo dell’arte non significa, comunque, mancanza di autorità, di nerbo, di un filone unico che rende un collage di immagini eterogenee tra loro un vero e proprio mosaico, capace di restituire, a ben guardare, una visione d’insieme rivelatrice. Se viene dunque rivelata con lungimiranza l’arte che verrà – estrapolandola da questo fecondo primo decennio del nuovo millennio, da sempre portatore del cambiamento – si rimette parimenti in moto il nostro senso critico e le nostre idee.
Questa esposizione torinese è una riflessione ad alta voce nei confronti del ruolo di artisti sicuramente eterogenei per stile e per capacità di linguaggio, nei confronti di diverse prospettive ed ideali, consci che, come affermava Jacques Pierre Brissot de Warville, senza il coraggio di scomporre ogni parola, non si avranno mai delle vere conoscenze. Un amore sconfinato per la verità, come idealisticamente parafrasata da Condillac, senza dimenticare che il viaggio, prima che fisico parte in realtà dall’io, dalla nostra propensione ad aprirci. Solo dopo aver liberato noi stessi ognuno di noi potrà trasformarsi in maître de l’opinion publique, contribuendo a cambiare le regole del gioco. Contribuendo a regalare una promessa di felicità privata e un cammino dei linguaggi artistici, fuori da ogni costrizione, pienamente e liberamente autorealizzati.
Giorgia Cassini, direttore artistico