COLERA CHIVAZZO
Colera Chivazzo

Vibrione Colera! 

 

Dappertutto si parla di coronavirus e tanto per cambiare agente patogeno di epidemia parlo del vibrione colera. Nel 1817, come accertato dagli storici il colera uscì dai suoi storici confini dell’India, nella regione del Bengala in particolare, per dirigersi rapidamente verso il resto del globo terrestre. Il colera si affacciò nel Patrio Stivale per la prima volta nel luglio 1835 molto verosimilmente arrivato per via di mare da un gruppo di contrabbandieri provenienti dai territori d’oltralpe, entrati nel Regno di Sardegna dopo aver infranto il cordone sanitario. A nulla valse l’attuazione di ulteriori cordoni sanitari da parte del Governo piemontese, che comunque temporeggiò alcuni giorni prima di ammettere la presenza del contagio. Anche gli altri Stai della penisola istituirono misure di quarantena, ma inutilmente. Si accesero già dall’inizio discussioni sulla sua diffusione e come combatterlo tra politici, scienziati, intellettuali e ciarlatani che spacciavano per miracolosi dei rimedi di loro invenzione e curavano con metodi empirici seguendo le credenze del popolo di allora che davano la colpa al ruolo svolto dai venti e dall’aria, fino a coloro i quali vedevano nell’influenza dei terremoti e di alcune congiunzioni astrali la vera causa della malattia. Ma vennero a galla allora le inadeguate forme di difesa igienica pubblica degli Stati Italiani preunitari e le carenze nei sistemi di approvvigionamento idrico e di fognatura delle città, anche le più grandi e popolose che non disponevano di un adeguato sistema di fornitura di acqua potabile. Allora era grave il problema dei pozzi neri per lo smaltimento dei rifiuti, con sistemi di raccolta spesso realizzati con materiali che non garantivano l’impermeabilità, e gli svuotamenti avvenivano sovente in ritardo, lasciando così interi quartieri della città abbandonati alla sporcizia ed ai miasmi. Il colera allora creò un forte conflitto sociale, il popolo sospettava degli stranieri, degli sconosciuti, degli emarginati, ma anche dei possidenti, spesso accusati dalle masse urbane di volere estirpare le classi popolari troppo numerose. La sensazione di un complotto voluto dalle classi privilegiate invase la popolazione fin dal primo momento. Ad essere accusati furono non solo borghesi o aristocratici, ma anche funzionari e amministratori. Non mancarono personalità ambigue che sfruttarono il malcontento popolare per cercare di realizzare rivolte di classe e rovesci istituzionali. Specialmente nel Mezzogiorno esplosero violente reazioni e la folla inferocita si abbandonò a gesti di estrema violenza, scatenati spesso da pretesti di scarso significato.  L’epidemia del 1835-37 fu la la prima del territorio italiano ma non l’ultima, né la più grave. Il colera tornò nel 1854-55 e soprattutto nel 1865-67, triennio in cui il bilancio finale fu di oltre 160.000 morti. Si trattò di un evento particolarmente drammatico per una Nazione che stava faticosamente uscendo dalle guerre d’Indipendenza ed ancora alle prese con difficoltà economiche e militari. Lo Stato monarchico fu duramente messo alla prova, e vennero evidenziate ancora una volta le difficoltà nella comprensione della malattia, nell’attuazione di efficaci politiche sanitarie e soprattutto le arretratezze culturali di un paese, che, sebbene avesse rotto politicamente col passato, era composto ancora da una popolazione in gran parte analfabeta, legata a tradizioni e superstizioni antiche. Da segnalare già allora l’encomiabile lavoro svolto dai Carabinieri Reali nella loro opera umanitaria a combattere i morbo nel Regno di Sardegna, toccante un articolo della Gazzetta di Genova del 26 agosto 1836 dove viene tributata ammirazione e stima per il lavoro dei Carabinieri in quanto incaricati nel penoso ed incessante servizio nel soccorrere contadini nei casolari in campagna come gli abitanti delle città ottenendo da tutti lode e gratitudine. L’opera umanitaria svolta dai Carabinieri in soccorso delle popolazioni venne citata, insieme con l’andamento dell’epidemia, nelle relazioni che il Segretario di Stato per gli Interni inviava al Sovrano. Anche l’epidemia del 1865-67 non mostrò sostanziali cambiamenti nelle reazioni popolari della gente, fatte di panico ed esasperazione. Col propagarsi del flagello, si ripeterono, quantomeno in alcuni casi, le solite scene già viste in tante città italiane nelle precedenti epidemie come quella del 1835-37.  Una curiosità sulla Gazzetta Piemontese del 7 settembre 1867 viene elogiato il Fernet, il nome sembra derivare dal nome del ferro rovente utilizzato a fine preparazione per mescolare e disinfettare il prodotto, il fer-net, ferro pulito. Ci sono fonti che sostengono che l’invenzione del Fernet debba essere fatta risalire al XVI secolo: pare che il medico del re di Francia Enrico II, Fernetius abbia per primo inventato la ricetta del liquore d’erbe e che il nome Fernet derivi dal nome dell’inventore. La ditta produttrice di Fernet  regalò una quantità considerevolissima di quel liquore alla popolazione di molte comunità del Canavese in occasione del colera, e vengono citati i comuni di Morgex, Aosta, Carema, Mazzè, Salerano, Strambino. Come diceva il giornale le varie Comunità ringraziarono riconoscenti per gli ottimi effetti che ne provarono le popolazioni.

 

By Giorgio Cortese

Colera!

Dappertutto si parla di coronavirus e tanto per cambiare agente patogeno di epidemia parlo del vibrione colera. Nel 1817, come accertato dagli storici il colera uscì dai suoi storici confini dell’India, nella regione del Bengala in particolare, per dirigersi rapidamente verso il resto del globo terrestre. Il colera si affacciò nel Patrio Stivale per la prima volta nel luglio 1835 molto verosimilmente arrivato per via di mare da un gruppo di contrabbandieri provenienti dai territori d’oltralpe, entrati nel Regno di Sardegna dopo aver infranto il cordone sanitario. A nulla valse l’attuazione di ulteriori cordoni sanitari da parte del Governo piemontese, che comunque temporeggiò alcuni giorni prima di ammettere la presenza del contagio. Anche gli altri Stai della penisola istituirono misure di quarantena, ma inutilmente. Si accesero già dall’inizio discussioni sulla sua diffusione e come combatterlo tra politici, scienziati, intellettuali e ciarlatani che spacciavano per miracolosi dei rimedi di loro invenzione e curavano con metodi empirici seguendo le credenze del popolo di allora che davano la colpa al ruolo svolto dai venti e dall’aria, fino a coloro i quali vedevano nell’influenza dei terremoti e di alcune congiunzioni astrali la vera causa della malattia. Ma vennero a galla allora le inadeguate forme di difesa igienica pubblica degli Stati Italiani preunitari e le carenze nei sistemi di approvvigionamento idrico e di fognatura delle città, anche le più grandi e popolose che non disponevano di un adeguato sistema di fornitura di acqua potabile. Allora era grave il problema dei pozzi neri per lo smaltimento dei rifiuti, con sistemi di raccolta spesso realizzati con materiali che non garantivano l’impermeabilità, e gli svuotamenti avvenivano sovente in ritardo, lasciando così interi quartieri della città abbandonati alla sporcizia ed ai miasmi. Il colera allora creò un forte conflitto sociale, il popolo sospettava degli stranieri, degli sconosciuti, degli emarginati, ma anche dei possidenti, spesso accusati dalle masse urbane di volere estirpare le classi popolari troppo numerose. La sensazione di un complotto voluto dalle classi privilegiate invase la popolazione fin dal primo momento. Ad essere accusati furono non solo borghesi o aristocratici, ma anche funzionari e amministratori. Non mancarono personalità ambigue che sfruttarono il malcontento popolare per cercare di realizzare rivolte di classe e rovesci istituzionali. Specialmente nel Mezzogiorno esplosero violente reazioni e la folla inferocita si abbandonò a gesti di estrema violenza, scatenati spesso da pretesti di scarso significato.  L’epidemia del 1835-37 fu la la prima del territorio italiano ma non l’ultima, né la più grave. Il colera tornò nel 1854-55 e soprattutto nel 1865-67, triennio in cui il bilancio finale fu di oltre 160.000 morti. Si trattò di un evento particolarmente drammatico per una Nazione che stava faticosamente uscendo dalle guerre d’Indipendenza ed ancora alle prese con difficoltà economiche e militari. Lo Stato monarchico fu duramente messo alla prova, e vennero evidenziate ancora una volta le difficoltà nella comprensione della malattia, nell’attuazione di efficaci politiche sanitarie e soprattutto le arretratezze culturali di un paese, che, sebbene avesse rotto politicamente col passato, era composto ancora da una popolazione in gran parte analfabeta, legata a tradizioni e superstizioni antiche. Da segnalare già allora l’encomiabile lavoro svolto dai Carabinieri Reali nella loro opera umanitaria a combattere i morbo nel Regno di Sardegna, toccante un articolo della Gazzetta di Genova del 26 agosto 1836 dove viene tributata ammirazione e stima per il lavoro dei Carabinieri in quanto incaricati nel penoso ed incessante servizio nel soccorrere contadini nei casolari in campagna come gli abitanti delle città ottenendo da tutti lode e gratitudine. L’opera umanitaria svolta dai Carabinieri in soccorso delle popolazioni venne citata, insieme con l’andamento dell’epidemia, nelle relazioni che il Segretario di Stato per gli Interni inviava al Sovrano. Anche l’epidemia del 1865-67 non mostrò sostanziali cambiamenti nelle reazioni popolari della gente, fatte di panico ed esasperazione. Col propagarsi del flagello, si ripeterono, quantomeno in alcuni casi, le solite scene già viste in tante città italiane nelle precedenti epidemie come quella del 1835-37.  Una curiosità sulla Gazzetta Piemontese del 7 settembre 1867 viene elogiato il Fernet, il nome sembra derivare dal nome del ferro rovente utilizzato a fine preparazione per mescolare e disinfettare il prodotto, il fer-net, ferro pulito. Ci sono fonti che sostengono che l’invenzione del Fernet debba essere fatta risalire al XVI secolo: pare che il medico del re di Francia Enrico II, Fernetius abbia per primo inventato la ricetta del liquore d’erbe e che il nome Fernet derivi dal nome dell’inventore. La ditta produttrice di Fernet  regalò una quantità considerevolissima di quel liquore alla popolazione di molte comunità del Canavese in occasione del colera, e vengono citati i comuni di Morgex, Aosta, Carema, Mazzè, Salerano, Strambino. Come diceva il giornale le varie Comunità ringraziarono riconoscenti per gli ottimi effetti che ne provarono le popolazioni.

 

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