A cura di Valerio Consonni
Migliore regia e migliore attore esordiente. Il film di Garrone, il viaggio – tra realtà e sogno – di due giovani migranti dal Senegal fino all’Italia, in concorso all’80° Festival di Venezia, ha ottenuto il Leone d’Argento alla regia e il Premio Marcello Mastroianni all’attore protagonista, Seydou Sarr.
I casting sono avvenuti nel continente africano con i due protagonisti originari di Dakar, presi dalla strada, rispettivamente di 17 e 18 anni. Le riprese sono tra Italia, Marocco e Senegal. Seydou e Moussa parlano wolof e un po’ di francese, sottotitolati, ma si segue il tutto molto facilmente senza problemi. «Ci faremo firmare autografi dai bianchi»: con la loro passione per il calcio e la musica rap, Seydou e Moussa partono pieni di speranza e gioia con i soldi dei loro lavoretti da muratori. Ma non basteranno perché ogni sosta richiede extra-mazzette ed è la fine per chi cade dal camion strapieno e non ce la fa a camminare per ore e ore nel deserto. Garrone inquadra un’Africa traboccante di colori, con qualche sequenza notturna e il terrore misto ad orrore delle torture nelle carceri della mafia libica.
Risulta molto difficile non lasciarsi coinvolgere dall’onda emotiva del film, anche grazie alla bravura naturale dei due protagonisti. Il film potrebbe essere letto come la favola di Pinocchio… era crudele anche il libro di Collodi. Anche qui ci sono le fantasie visive dei due giovani. C’è sempre molta attenzione sugli esseri umani; una tensione tra il mondo quotidiano e la dimensione spirituale poiché il regista ci tiene a farci riflettere fino all’ultimo momento del film. I sentimenti, le passioni, le paure si mischiano ai fatti. A volte i sogni salvano la situazione, vengono in aiuto. Deserto e acqua sempre in agguato. Gente buona e gente cattiva. Immagini e parole che sanno raccontare con una leggerezza ipnotica la drammaticità della storia, spingendoci dentro i panni degli attori per farci capire quanto la nostra vita sarebbe diversa se fossimo nati in quei luoghi. Il film ci mostra quel che non vediamo su quei barconi.
Le parole non raccontano, solo le immagini ci parlano. Io capitano, ricostruito da storie vere, racconta un viaggio di disperati, un tragitto che talvolta sappiamo ma non immaginiamo e che preferiamo ignorare: «Per realizzare il film siamo partiti dalle testimonianze vere di chi ha vissuto questo inferno e abbiamo deciso di mettere la macchina da presa dalla loro angolazione per raccontare questa odissea contemporanea dal loro punto di vista, in una sorta di controcampo rispetto alle immagini che siamo abituati a vedere dalla nostra angolazione occidentale, nel tentativo di dar voce, finalmente, a chi di solito non ce l’ha», così racconta la regia. Garrone ha studiato, ha rischiato, ha girato un film che andrebbe mostrato nelle scuole, alla gente comune e ai politici tutti!
tratto da “Cinema”
24oreNEWS.it Magazine – Ottobre 2023