La “signora” pasta italiana
A differenza del pane, di cui sono stati rinvenuti i primi esemplari negli scavi neolitici, la pasta non ha lasciato traccia di sé e questa latitanza ha contribuito alla diffusione di molte leggende e storielle varie. Una delle più ripetute è quella secondo la quale Marco Polo avrebbe portato a Venezia da uno dei suoi viaggi in Cina un campione di spaghetti.
La testimonianza più antica, databile intorno ai 4000 anni fa, è data da un piatto di spaghetti di miglio rinvenuti nel nord-ovest della Cina presso Lajia sotto tre metri di sedimenti.
L’invenzione cinese viene tuttavia considerata indipendente da quella occidentale perché all’epoca i cinesi non conoscevano il frumento caratteristico delle produzioni europee e arabe.
Le origini della pasta
Le prime tracce storiche di questo alimento emergono, sotto forma di strumenti per sua fabbricazione e cottura, in una tomba etrusca. Già nei primi anni dopo Cristo il cuoco Apicio parla nei suoi testi di qualcosa di simile alle lasagne e intorno all’anno Mille Martino Corno, cuoco del potente Patriarca di Aquileia, nel suo libro “De arte Coquinaria per vermicelli e maccaroni siciliani”, scrive le prime ricette a base di pasta.
Quasi certamente la pasta era ben conosciuta anche nei Paesi arabi, dove ancora oggi si parla di “makkaroni”. Proprio da oriente arrivò ai greci ed in Sicilia (per lungo tempo colonia araba). Palermo è storicamente la prima vera capitale della pasta; qui si hanno le prime testimonianze di produzione di pasta secca a livello artigianale-industriale. Nel 1150 il geografo arabo Al-Idrisi riferisce che a Trabia, a 30 km da Palermo, “si fabbrica tanta pasta in forma di fili, [“tria” in arabo], che viene esportata in tutte le parti, nella Calabria e in tanti paesi musulmani e cristiani anche via navi”.
1279… la pasta “legale”
A tale anno risale la prima citazione “ufficiale” della pasta: nell’inventario notarile di un’eredità si legge tra i lasciti “una bariscela (cesta) piena de macaronis”. Un documento del 1244 e uno del 1316 attestano la produzione di pasta secca in Liguria. Tra 1400 e 1500 si diffonde in questa regione la produzione artigianale dei “Fidei” (pasta nel dialetto locale), sancita dalla nascita, nel 1574 a Genova, della Corporazione dei Pastai. Tre anni dopo a Savona viene costituita la “Regolazione dell’Arte dei Maestri Fidelari”.
XVII secolo: il torchio meccanico
A Napoli, mentre la crescita demografica aggrava la situazione alimentare della popolazione, una piccola rivoluzione tecnologica, la diffusione della gramola e l’invenzione dei torchio meccanico, consente di produrre pasta a basso costo. Così come per molti anni a venire la pasta diventa elemento di base dell’alimentazione popolare. La vicinanza del mare, a Napoli, come in Liguria e Sicilia, facilita l’essiccazione, processo che consente la sua conservazione per un lungo periodo di tempo.
XVIII secolo: i primi pastifici
Nel 1740 la città di Venezia concede a Paolo Adami la licenza di aprire il primo pastificio. I macchinari erano abbastanza semplici. Consistevano infatti in una pressa di ferro azionata da alcuni giovani ragazzi. Nel 1763 il Duca di Parma, Don Ferdinando di Borbone, concede a Stefano Lucciardi di Sarzana il diritto di privativa per 10 anni, per la produzione di pasta secca – “all’uso di Genova” – nella città di Parma.
1830: arriva il pomodoro!
Agli inizi dell’Ottocento la pasta incontra il pomodoro. Sino ad allora era stata mangiata senza condimento o al massimo con il formaggio. Le prime notizie sull’uso del pomodoro risalgono al XVII secolo. La pianta fu importata in Spagna dai conquistatori del continente americano e si diffuse poi in Europa, trovando il clima ideale nei paesi del bacino mediterraneo. L’uso del pomodoro nella cucina italiana diventa comune solo alla fine dell’800, all’inizio infatti esso era considerato pianta ornamentale e, secondo una leggenda dura a morire, addirittura velenosa.
Bisogna attendere il 1778 perché Vincenzo Corrado nel suo “Cuoco galante” parli per la prima volta della salsa di pomodoro, ma senza che si pensi ancora a usarla per condire. Il merito di avere “lanciato” il pomodoro è comunque tutto italiano. La salsa di pomodoro, bollita in pentola con un pizzico di sale e qualche foglia di basilico, viene usata a partire dai primi dell’800 dai venditori di piazza del sud Italia per condire i maccheroni. La stessa pizza, le cui origini risalgono ai primordi della civiltà umana, comincia a utilizzare la salsa del pomodoro, insieme alla mozzarella, solo intorno alla metà del XIX secolo.
1840: Napoli capitale della pasta
Alcuni pastai amalfitani aprono una vera e propria industria della pasta a Torre Annunziata. I molini sono ad acqua, le macine di pietra e le semole vengono separate dalle crusche mediante setacci scossi a mano. Le macchine portano lo sviluppo del mercato, la competizione, l’esportazione oltre oceano. Nel 1878 viene introdotta una macchina destinata a migliorare incomparabilmente la semola e quindi la pasta: la semolatrice marsigliese, inventata appunto a Marsiglia. La stessa pelle bucherellata, che veniva adoperata nei setacci manuali, viene ora scossa meccanicamente. Nel 1882 si ha la prima pressa idraulica e nel 1884 nasce il primo mulino azionato a vapore.
XIX secolo: ecco i formati
I trafilai, capaci di praticare fori assolutamente eguali nel disco di bronzo che chiude la pressa, si ingegnano e, per movimentare il mercato, cambiano le trafile inventando così nuovi e fantasiosi formati. I pastifici dell’epoca disponevano già di un’offerta che oscillava fra i 150 e i 200 formati.
Inizio ‘900: largo alla tecnologia!
L’essiccazione artificiale in ambienti condizionati porta la produzione della pasta a diffondersi in tutte le regioni, e si comincia a parlare di industria della pasta. Il grano più amato dai pastai era il Taganrog, l’insuperato grano duro proveniente dalla Russia. Nel porto di Taganrog, in Crimea, venivano imbarcati quintali e quintali di destinato ai pastai liguri e napoletani.
La pasta alla conquista del mondo
Il grande sviluppo della pasta italiana ai primi del secolo è legato anche all’esportazione che, nel 1913, tocca la cifra record di 700.000 quintali, dei quali una parte consistente negli Stati Uniti. In seguito i paesi importatori iniziano la produzione in loco e le macchine da pastificio di costruzione italiana a poco a poco conquistano il mondo. Nel 1917 Fereol Sandragne brevetta il primo sistema di produzione continuo di pasta. Con la rivoluzione bolscevica, cessa l’esportazione del grano russo: la terra diventa dello Stato e i contadini vengono obbligati a consegnare alle autorità tutto il grano prodotto, detratta solo la parte necessaria per la semina e per il consumo della famiglia.
La pasta degli ultimi decenni
Nel 1933, con l’invenzione della pressa meccanica continua, i Fratelli Braibanti di Parma eliminano le soste (e gli scarti o sfridi) tra le operazioni di impasto, gramolazione e trafilazione, migliorando così anche la qualità e l’igiene del prodotto. Nella macchina entra la semola e ne esce la pasta formata, pronta per essere essiccata. Il primo censimento dell’industria italiana della pasta, nel 1937, quantifica la capacità produttiva nazionale in 12,5 milioni di quintali, mentre la produzione effettiva è attorno ai 6 milioni di quintali.
La pasta oggi
Con 3 milioni di tonnellate annue prodotte ed un consumo procapite di oltre 28 kg. l’Italia conserva gelosamente il ruolo di leader mondiale nel campo della pasta. Le esportazioni, a quota 1,4 milioni di tonnellate nel 2000, crescono a ritmi vertiginosi grazie anche all’affermazione del modello alimentare mediterraneo. I più recenti sviluppi tecnologici hanno trasformato oggi l’arte pastaria in un industria dal fatturato di diverse migliaia di miliardi.
Ancora Storia
Senza dubbio le paste alimentari sono una creazione mediterranea, perché tutto il loro dizionario ci riporta a quest’area.
Già i romani come altre popolazioni mediterranee conoscevano la pratica di impastare la farina con l’acqua e di stenderla in una larga sfoglia chiamata lagana che veniva poi tagliata a larghe falde e arrostita su delle pietre calde. La prima testimonianza italiana sulla conoscenza della pasta è quella rinvenuta in una tomba etrusca a Cerveteri, risalente al IV secolo a.C., dove sono stati ritrovati scolpiti su una lastra di marmo uno spianatoio, un mattarello ed una rotella tagliapasta.
Dobbiamo arrivare al Medioevo per trovare alcuni elementi decisivi che connotano la categoria alimentare della pasta e cioè la varietà delle forme, il modo di cottura (la bollitura in un liquido che poteva essere acqua, brodo e qualche volta nel latte) e l’invenzione della pasta secca a lunga conservazione.
Si suole attribuire la paternità della pasta secca agli arabi che avevano provato la tecnica della essiccazione per potersi garantire delle scorte alimentari durante gli spostamenti nel deserto. Nei ricettari arabi la pasta secca compare già nel IX secolo e a tale tradizione è collegata la presenza in Sicilia fin dal XII secolo di una industria di pasta secca in località Trabia, una trentina di chilometri da Palermo.
Con la pasta si diffonde anche la forchetta, strumento che rimarrà circoscritto all’area di consumo della pasta dal medioevo almeno fino alla seconda metà del Cinquecento. Gennaro Spadaccini, ciambellano di corte di re Ferdinando II, ha avuto la geniale idea di utilizzare una piccolo forca con quattro punte corte, per promuovere gli spaghetti alla tavola dei nobili.
Ed è proprio grazie alla forchetta che dal 1700 in poi gli spaghetti hanno conquistato popolarità e dignità presso ogni classe sociale diventando uno dei riconosciuti simboli dell’italianità.
Consumi, porzioni, formati d’uso quotidiano
- Nel Nord d’Italia viene acquistato il 37% della pasta venduta nel Belpaese, registrando una media di consumo pro-capite pari a 24 kg (al di sotto della media nazionale, che è di 28 kg).
- Il Nord assorbe anche una percentuale rilevante (il 60%) dei primi piatti pronti, freschi surgelati, a base di pasta. Una percentuale pari a quasi 3 volte i volumi che si riscontrano, come vedremo, sia del Centro che del Sud.
- Solo il 46,9% delle persone che vivono nel Nord – le percentuali del centro sud, come vedremo, sono decisamente più alte, mentre la media nazionale sfiora il 53% – consumano la pasta almeno una volta al giorno, per lo più a casa (94,8%).
- Nel Nord la pasta è considerata quasi allo stesso modo un primo piatto (55,3%) o un vero e proprio “piatto unico” (42,9%), che si consuma soprattutto a pranzo. Più si scende verso il Sud d’Italia e più, come vedremo, la tradizione della pasta come primo piatto vincerà in maniera schiacciante su quella del piatto unico.
- Per ogni persona, nel Nord, si calcolano 85,5 grammi di pasta: un po’ più rispetto al sud, e un po’ meno del centro. Ribaltando, comunque, il luogo comune che il piatto più “abbondante” sia quello del Sud del Paese.
Pasta lunga o pasta corta?
- Il divario tra gli amanti della pasta corta (36%) e quelli che preferiscono la pasta lunga (29%) qui è molto più contenuto che nel resto d’Italia, grazie a un apprezzamento maggiore (+3% in media) nei confronti della pasta lunga. Risultato di una tradizione di apprezzamento per questi formati vecchia centinaia di anni.
- É curioso notare che le ragioni per le quali nel nord si dichiara di apprezzare la pasta lunga, sono le stesse utilizzate nel Sud per decantare i pregi della pasta corta: viene considerata più gustosa e si abbina meglio con i sughi in uso (nel nord).
- Nel nord, come del resto accade in generale in Italia, la pasta rigata viene preferita a quella liscia: la pensano così il 65,8% delle persone. Mentre i fans della pasta liscia sono solo il 19,1%. Il perché è semplice: si pensa che si accompagna meglio ai sughi, che sia più gustosa.
La pasta nel Nord
- Tra i formati preferiti gli spaghetti (e spaghettini), che pure trionfano anche nel centro sud sugli altri formati, qui toccano il livello di gradimento più alto: sono il top per il 36,1% del campione. Seguono formati come le penne, i rigatoni, i maccheroni e i fusilli. E’ curioso notare che i consumo di linguine e trenette (1,5%) è perfino un po’ più basso che nel resto del Paese, anche se questo piatto, condito con il pesto, è una ricetta tipica della cucina del nord (ligure, in particolare).
- Le lasagne sono il formato/tipo preferito per le grandi occasioni (29,7%), mentre la pasta all’uovo riscontra gradimenti più bassi della media nazionale (14,2%).
- Nel Nord si registra la maggiore tendenza a usare gli stessi formati: lo fanno il 54% degli abitanti, mentre la curiosità della sperimentazione è provata dal 46% circa del campione. Una situazione analoga a quella che si registra nel centro Italia, ma diversa, come vedremo, da quella del sud.
- Più della metà dei residenti (53%) sono fedeli alla stessa marca di pasta, mentre il 17,5% gradiscono provarne anche di nuove. Nella dispensa delle famiglie residenti nel nord d’Italia si trovano infatti, in media, da 4 a 6 pacchi di pasta, di un paio di marche diverse. La scorta delle famiglie del nord sono in media di 4,4 kg per famiglia (un bel po’ di meno di quelle alle quali sono abituate, come vedremo, le famiglie del Sud).
Alcuni formati di pasta della tradizione
Tajarin, agnolotti, ravioli, tortelli di zucca, tortellini, cappellacci, cappelletti, bigoli, maltagliati, lasagne, tagliatelle, pizzoccheri, manfrigoli, crespelle, garganelli, corzetti, penne, trenette, trofie, fidelini, mille fanti
Gli ingredienti
In base alla legge italiana (n. 580 del 1967) la pasta secca deve essere fabbricata solo ed esclusivamente con semola di grano duro. Qualsiasi aggiunta, anche se parziale, di grano tenero costituisce una frode. Le normative variano sensibilmente a seconda dei paesi di produzione e non sempre corrispondono alle nostre per cui non è raro, specialmente all’estero, imbattersi in spaghetti contenenti grano tenero, praticamente immangiabili per noi italiani. Facendo riferimento ai principi fondamentali della pastificazione tradizionale italiana, si può dire che gli ingredienti della comune pasta secca sono due: il grano e l’acqua.
Il grano
Il grano è un cereale appartenente alle famiglia delle graminacee ed il chicco (cariosside) che se ne ottiene è ciò che, attraverso la macinazione, viene utilizzato nell’industria alimentare. Il chicco di grano è composto fondamentalmente da 4 parti:
- la crusca (sei strati esterni che difendono l’interno dall’umidità);
- la barbetta che permette lo scambio ossigeno/anidride carbonica tra l’interno e l’atmosfera;
- il germe (all’estremità opposta della barbetta) che contiene moltissime sostanze (tra cui una piccola quantità di grassi vegetali) ed è incaricato di produrre la futura pianta;
- l’endosperma, infine, che è la parte interessante dal punto di vista alimentare perché è quella che dà luogo alla farina o alla semola e che contiene amido e glutine.
Il grano si distingue in
- Grano Tenero (coltivato in tutte le regioni deL mondo a clima temperato e utilizzato per produrre pane e prodotti da forno),
- Grano Semiduro (coltivato in Argentina e nel Nord degli U.S.A. e utilizzato per produrre pane e pasticceria)
- e Grano Duro.
Il Grano Duro o Triticum durum è quello, e solo quello, che si utilizza per produrre la pasta. Viene coltivato – oltre che in Italia – negli U.S.A., in Canada, in Russia, in Argentina, in Cile, in Spagna, in Grecia, in alcuni paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. La differenza tra grano duro e tenero è notevole: geneticamente l’uno presenta 14 cromosomi, l’altro 21.
Il grano duro si rompe difficilmente (da cui la definizione di “duro”) e produce una semola bionda e granulosa. Il grano tenero è meno resistente e produce una farina bianca e impalpabile.
Importiamo parte del grano dall’estero
Numerosissimi sono i nomi che il grano assume come varietà di coltivazione e sensibili sono le differenze che queste presentano per caratteristiche organolettiche e prestazioni in termini di lavorazione. Il grano duro, in Italia, si coltiva in quantità considerevoli solo in Puglia, Sicilia e Maremma Toscana, ma il fabbisogno della produzione italiana di pasta è ben superiore, tanto da dover importare notevoli quantità di materia prima dall’estero.
L’acqua
L’acqua impiegata in tutte le lavorazioni deve essere acqua perfettamente bevibile, cioè limpida, inodore ed insapore, ricca di sali minerali e microbiologicamente potabile. Nella fase di cottura, invece, l’acqua da usare (come del resto anche per i legumi) deve essere “leggera”, cioè povera di sali minerali.
Come si fa la pasta
Dalla macinazione del grano duro si produce la semola, di colore giallo paglierino e granulosa. Il chicco di grano non viene in verità schiacciato ma “tagliato” più volte in fasi successive. In tal modo si ottengono l’eliminazione delle sostanze di scarto (crusca e germe) e il massimo recupero delle sostanze utili alla pastificazione.
Una buona semola deve avere le seguenti caratteristiche fondamentali:
- percentuale di “ceneri” (sostanze minerali) inferiore a 0.90
- adeguata qualità e quantità (almeno 12%) di glutine (proteine della pasta)
- granulosità (calibratura) costante e idonea (200 Micron) alla miglior idratazione in fase di impasto
- purezza, oltre che dal punto di vista igienico, anche riguardo le sostanze di scarto (crusca e germe)
Dosaggio e mescolazione
La semola viene messa nella vasca di impasto e bagnata con acqua fredda in quantità attentamente dosata. In questa fase si aggiungono eventualmente le uova, per la produzione di pasta all’uovo, e gli ingredienti necessari per la pasta aromatizzata (spinaci, pomodoro, peperoncino, ecc.).
Impasto
L’impasto ottenuto, simile nell’aspetto a sabbia umida, deve essere il più possibile omogeneo. Pertanto è importante che ogni singolo granello di semola assorba la giusta quantità di acqua. La fase di impasto è estremamente delicata e dura svariati minuti. Dopo numerosi e complessi passaggi, necessari per la buona riuscita del prodotto finale, l’ultima fase avviene “sottovuoto”. In tal modo si rende l’impasto più compatto e si elimina completamente l’aria (per evitare l’ossidazione del prodotto finito).
Compressione
L’impasto perfettamente amalgamato passa quindi in una pressa cilindrica dove una vite “di compressione” comprimendolo lo trasforma in una sostanza compatta pronta per la trafila. É molto importante in questa fase mantenere la temperatura dell’impasto al di sotto dei 35°C con un appropriato sistema di raffreddamento. In tal modo si evita il deterioramento delle sostanze organolettiche.
Trafila
La trafila è uno stampo circolare da cui esce la pasta nelle svariate forme in commercio. La tradizione vuole che gli inserti delle trafile da cui esce la pasta siano in bronzo. Questo materiale conferisce alla superficie del prodotto una rugosità ottimale per trattenere il condimento. Oggi molti pastifici industriali hanno sostituito il bronzo con l’acciaio o il teflon. Tali materiali permettono di lavorare a velocità molto più alte ed ottenere la massima lucentezza del prodotto. La pasta, appena esce dalla trafila, viene ventilata per far si che lo strato superficiale asciughi, impedendo le rotture e l’appiccicarsi della pasta stessa. La lunghezza del formato viene regolata da coltelli che tagliano la pasta appena esce dalla trafila. I formati lunghi, vengono tradizionalmente messi ad asciugare su “canne”, assumendo la tipica forma ad “u” che viene poi eliminata dal taglio della curva.
Asciugatura ed essiccazione
Dopo la trafilatura inizia la delicata fase di asciugatura. É necessario che si secchi subito l’esterno della pasta lavorata, in modo che la forma e la lunghezza della stessa si stabilizzi. Quindi, in appositi essiccatoi ventilati, si giunge alla completa asciugatura. Qui tra tradizione artigiana e grande industria i percorsi si dividono. I piccoli pastifici operano solitamente in tempi lunghi (dalle 24 alle 72 ore). Inoltre mantengono temperature basse (non oltre i 40°, soglia massima per non alterare le qualità nutrizionali ed organolettiche del prodotto). L’industria accorcia notevolmente i tempi (2-12 ore) alzando le temperature sino a 80° ed oltre.
Stabilizzazione e confezionamento
Il prodotto, ormai finito, viene sottoposto ad una ultima fase di “riposo” o stabilizzazione (lasciandolo ancora nelle “celle di essiccazione” per circa 10 ore). Infine viene confezionato, venduto e finire nelle pentole di milioni di italiani.
DIECI REGOLE D’ORO PER CUOCERE LA PASTA
- Per la cottura usare pentole larghe e capienti.
- Dosare l’acqua nella proporzione di 1 litro per ogni 100 gr. di pasta.
- Usare sale grosso marino nella misura di 10 gr. per litro d’acqua.
- Il sale deve essere aggiunto al momento dell’ebollizione dell’acqua, non prima.
- Prima di versare la pasta, dopo aver aggiunto il sale, attendere che l’acqua torni a bollire Nuovamente.
- La pasta deve essere completamente immersa nell’acqua e va mescolata di tanto in tanto con un cucchiaio di legno.
- La pasta va cotta a pentola scoperta e su fuoco vivace.
- Seguendo le indicazioni precedenti, i tempi di cottura della pasta sono quelli riportati in etichetta dal produttore.
- Quando la pasta è al giusto punto di cottura versate un bicchiere di acqua fredda nella pentola prima di scolarla per arrestarne la cottura.
- La pasta va cotta al dente, se la cottura è sbagliata il gusto ne risentirà ed anche la sua digestione diverrà più difficoltosa.
Degustare la pasta
É possibile, senza scendere nel tecnico, identificare alcuni criteri di valutazione della pasta? Senza ombra di dubbio sì: infatti è sufficiente porre un po’ di attenzione. Chiunque è in grado, senza voler diventare un esperto assaggiatore, di esprimere un giudizio critico sul piatto di spaghetti che gli viene servito. Vediamo come.
Le condizioni
La pasta va degustata cotta al dente (possibilmente in acqua priva di sale) senza l’aggiunta di alcun condimento o al limite con un cucchiaio di olio extravergine d’oliva per valutarne l’assorbimento.
I parametri
Questi i principali elementi da tenere in considerazione nella degustazione della pasta:
- Consistenza – La pasta deve presentarsi soda ed elastica, e se premuta con una forchetta tende a riacquistare la sua forma iniziale. In bocca deve offrire una buona resistenza alla masticazione.
- Omogeneità – La pasta prodotta con semole di scarsa qualità (con poco glutine o scadente) tende a scuocere all’esterno risultano poco cotta all’interno.
- Collosità – Se dopo la cottura la pasta si presenta collosa e tende ad appiccicarsi significa che la lavorazione non è stata mal eseguita o che addirittura contiene farina di grano tenero.
- Flavour – Una buona pasta deve avere un gradevole odore ed un buon sapore, principalmente di grano.
- Tenuta alla cottura: una pasta ottenuta con buone semole (ma anche trattata ad alte temperature) tiene la cottura e anche dopo diversi minuti essere stata scolata conserva tutte le sue caratteristiche.
E ora… finalmente… gustiamoci un bel piatto di pasta!!!