Si legge tutto d’un fiato questo bel libro di Mario Narducci. Intanto per la qualità della scrittura, davvero di rango elevato, che coinvolge il lettore nel racconto facendogli vivere eventi ed emozioni, quantunque si tratti di reportage giornalistici di 41 anni fa. Un fatto storico che “fece la storia”: questo fu il viaggio di Karol Wojtyla nella sua Polonia nel giugno 1979. Papa Giovanni Paolo II andava in visita apostolica nella sua terra oltre cortina, l’anno dopo la sua elezione al soglio di Pietro, avvenuta il 16 ottobre 1978. Mario, allora vaticanista del quotidiano il Popolo che già aveva seguito nei suoi viaggi Paolo VI nell’ultimo scorcio del pontificato, dopo il brevissimo papato di Giovanni Paolo I durato appena 33 giorni, si trovò a vivere una straordinaria esperienza da cronista giramondo per oltre un decennio, seguendo papa Wojtyla nei suoi numerosi viaggi. Alla fine del pontificato Giovanni Paolo II ne avrebbe contati ben 104 di viaggi apostolici, in ogni angolo del mondo.
Questo volume, dell’eccezionale pontificato di Papa Wojtyla, ne dà un luminoso saggio attraverso alcuni magistrali articoli che a tratti toccano livelli di finezza letteraria, descrivendo con pagine di grande giornalismo i nove giorni (2-10 giugno) della visita apostolica in Polonia del papa polacco, il primo non italiano dopo oltre quattro secoli e mezzo, da quando l’olandese Adriano VI aveva indossato la tiara nel 1522-23. Mario lo fa raccontando della visita del papa, con rigore ed acutezza di pensiero, non solo le celebrazioni (12 Messe con omelie) e gli eventi pubblici (con 37 discorsi), ma anche il contesto religioso, politico e sociale di quella Polonia che da quella storica visita apostolica non sarebbe più stata la stessa, nonostante tutti gli artifizi, i diversivi e le manipolazioni dell’informazione che il regime comunista aveva messo in campo.
Da questi puntuali resoconti, ricchi di dettagli e citazioni, si comprende come la sensibilità e la perspicacia del cronista Narducci arrivano lucidamente ad intuire quale seme di cambiamento la visita di Papa Wojtyla impiantasse non soltanto nella comunità dei cattolici, ma nell’intera società polacca. E come quella storica visita sarebbe poi stata l’elemento catalizzatore più significativo e determinante, pur non potendo da subito vaticinarne l’evoluzione, dello straordinario processo di cambiamento che il pontificato di Giovanni Paolo II avrebbe messo in moto nella sua amata terra di Polonia, come poi nel mondo e nella vita della Chiesa. Una vera “rivoluzione” durante il suo pontificato, il più lungo nella storia della cristianità, se si eccettuano quelli di San Pietro apostolo e Pio IX.
Ho letto più volte il testo di questo libro, per poter scrivere queste modeste annotazioni. Per chi ha vissuto quegli anni, come me, attraverso queste splendide pagine Mario Narducci richiama alla perfezione il clima politico e il contesto spirituale ed umano di quella storica visita. Anche chi quegli anni non li visse ha possibilità di farsene un’idea compiuta di cosa significò per la Polonia, per la storia dell’Europa e per la Chiesa. Varsavia, Gniezno, Czestochowa, Cracovia, Wadowice, Auschwitz e Birkenau, Novi Targ, Mogila e ancora Cracovia le tappe di quella visita, niente affatto facile e scontata. L’avrebbe tanto voluta realizzare Paolo VI una visita in Polonia, ma non gli fu concesso dalle autorità (dal regime comunista), quantunque proprio quel Papa avesse continuato con il cardinale Agostino Casaroli la Ostpolitik verso i Paesi dell’Est, l’apertura diplomatica voluta da Giovanni XXIII. Una ferita, quell’inespresso diniego a Paolo VI – le autorità di governo polacche neanche risposero al desiderio di visita espresso dal papa –, che Giovanni Paolo II con molta franchezza sottolineerà in uno dei suoi discorsi durante la visita.
Fu uno dei primi pensieri di Karol Wojtyla una visita pastorale in Polonia, appena eletto papa. Impartì in tal senso istruzioni alla Curia vaticana, la quale subito informò le autorità di Varsavia del desiderio del pontefice di far visita alla Polonia nella ricorrenza dei 900 anni del martirio di San Stanislao, che ricorreva nel maggio del 1979, avanzando la proposta di due giorni. Ovviamente la richiesta mise a soqquadro le cancellerie polacca e dell’URSS, con le preoccupazioni delle conseguenze politiche che la visita avrebbe potuto generare. Alla fine Leonid Breznev, segretario del Partito comunista sovietico che molto aveva influito sul regime polacco perché l’eventualità fosse rimossa, lasciò ad Edward Gierek, suo omologo polacco, tutta la responsabilità della decisione e delle conseguenze.
Tante furono le condizioni che Varsavia pose al Vaticano, in primis lo spostamento ad altro periodo e nessun collegamento alla ricorrenza del martire San Stanislao. Le intese alla fine si chiusero con l’accettazione da parte del Vaticano dello spostamento della visita nel mese di giugno, ma con l’allungamento di altri 4 giorni sul programma. Servizi segreti e polizie di mezza Europa furono coinvolti, non solo per sorveglianza e sicurezza com’è intuibile, e con infiltrazioni tra gli stessi pellegrini, in quel mare di cattolici che a molte centinaia di migliaia parteciparono con entusiasmo, malgrado le misure di dissuasione messe in atto dal regime. Il quale tentò in ogni modo di minimizzare la visita sui mezzi di (dis)informazione, con operazioni che oggi appaiono talmente goffe se non ridicole rispetto alla trionfale accoglienza del papa polacco. Lo denuncia chiaramente Mario nei suoi reportage, riportando le interferenze sulla stampa straniera del vice ministro polacco per gli Affari religiosi, Aleksander Merker.
Così tra l’altro annotò Mario nel reportage dell’ultimo giorno di visita, a Cracovia: L’ultima giornata del soggiorno in Polonia era incominciata assai presto per il Papa. Alle 9, in piedi sul gippone bianco-giallo, i colori del Vaticano, compariva tra la folla che si era andata radunando sul «Blonia», gli sterminati prati alle porte di Cracovia, fin dalla notte precedente. Sembrava, per usare un’immagine biblica, la folla di Josafat, tanta era la gente: tre, quattro, cinque piazze S. Pietro insieme, e forse più. Non meno di due milioni di persone, la stima ufficiale, ma saranno state anche due milioni e mezzo. Mai vista tanta folla insieme.
Non indulgo in altre citazioni, lasciando al piacere della lettura del libro, se non in questa espunta dal reportage “Auschwitz, Golgota del mondo”, quando Papa Wojtyla è in visita nel più grande tra i campi di sterminio nazisti. Ecco l’incipit dell’articolo di Mario: Nel luogo del «terribile eccidio» che recò la morte a quatto milioni dei deportati di diverse nazioni e all’ombra di una grande croce cinta di una corona di filo spinato e drappeggiata con una bandiera a strisce, come la divisa dei deportati, con il numero del beato Kolbe, Papa Giovanni Paolo II ha levato alta la sua voce, all’omelia della messa celebrata per le vittime del nazismo, contro la barbarie umana, contro le guerre, contro ogni violazione della dignità dell’uomo. È stato, quello di oggi pomeriggio, 7 giugno, certamente il momento più coinvolgente e drammatico della visita del Papa nella sua terra e nella sua diocesi. […] Eccolo adesso, il Papa, come un gigante nei paramenti del pontificale, puntare il dito contro ogni nemico dell’uomo. Dal suo volto è scomparso il sorriso per lasciare posto alla piega della sofferenza. Conosce bene questo luogo «costruito per la negazione della fede in Dio e per calpestare … tutti i segni della dignità umana, dell’umanità».
Forte e chiara la voce del Pontefice risuonò nel richiamare la storia della Polonia, nel corso della liturgia nella grande piazza di Varsavia: «Non è possibile capire, senza Cristo, la storia della nazione polacca, di questa grande e millenaria Comunità […] È impossibile comprendere la storia della Polonia, da Santo Stanislao a Massimiliano Kolbe, se non si applica loro, ancora, quell’unico criterio fondamentale che porta il nome di Gesù Cristo». E nelle omelie e discorsi il richiamo costante ai diritti fondamentali dell’uomo, alla libertà religiosa, alla dignità umana, ai rapporti tra Stato e Chiesa. Un crescendo che scuote e imbambola i funzionari del regime, presenti a migliaia, ingessati nel loro mutismo e nell’impassibilità quando la marea di gente accorsa – moltissime migliaia di giovani con i quali il papa stabilisce da subito un feeling intenso – ferma e attenta alle parole del pontefice, si apre poi agli applausi festosi, sottolineandone i passi salienti.
La visita fu una vittoria su tutti i fronti. Un successo strabiliante per partecipazione ed entusiasmo del popolo polacco. Avremmo poi visto come sarebbe evoluta la Polonia negli anni successivi, in una transizione verso la democrazia inimmaginabile senza questo precedente. Avremmo ancor di più visto ed ammirato di questo papa il coraggio, la determinazione, la capacità di parlare ai giovani, la sua forte testimonianza, i gesti profetici, l’attentato in piazza San Pietro, le esortazioni a non aver paura e a “spalancare le porte a Cristo”, le memorabili Giornate mondiali della Gioventù, l’eroismo nella malattia degli ultimi anni fino a consumarsi per sempre, nella completa dedizione a Dio, in quella dolorosa serata del suo transito, il 2 aprile 2005. Un gigante della Fede e della Storia.
Noi aquilani l’avremmo visto nelle sue tre visite apostoliche nell’agosto 1980 a L’Aquila, poi con i giovani Scout ai Piani di Pezza di Rocca di Mezzo, e ancora nel giugno 1993 a Campo Imperatore sul Gran Sasso, all’inaugurazione della chiesetta della Madonna della Neve restaurata dagli Alpini. Su quei nostri monti molte decine di volte sarebbe venuto in segreto a rinfrancarsi, forse perché gli ricordavano i suoi Monti Tatra. Ancora qui, sulle nostre montagne, a sei anni dalla morte, egli accolto tra i Beati, nel 2011 gli sarebbe stato dedicato il primo Santuario, la piccola chiesa di San Pietro della Jenca. Tre anni dopo, il 27 aprile 2014, entrava nella schiera dei Santi. Un papa amato, Giovanni Paolo II, che è nel cuore degli aquilani.
Goffredo Palmerini
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