Anche questa volta Pier Luigi Pizzi, a Parma al Teatro Regio tutto esaurito, ci ha stupiti con la sua piacevole regia di “Il Barbiere di Siviglia” di Rossini. La scenografia, completamente giocata sul bianco e sul nero, è di una estrema limpidezza. Non ha bisogno di elementi superflui per arrivare a una raffinata astrazione quasi metafisica. Due iconiche terrazze architettoniche da cui interagiscono, sotto diversi travestimenti, aiutato dal barbiere Figaro, il giovane Conte di Almaviva e la sua amata Rosina reclusa dall’antipatico Don Bartolo che la vuole tutta per sé.
L’impareggiabile talento del regista, scenografo e costumista Pier Luigi Pizzi ha saputo riprendere un suo lavoro debuttato al Rossini Opera Festival nel 2018, per farci rivivere il genio rossiniano grazie anche al notevole cast, che ha raccolto ripetuti applausi a scena aperta, e alla precisa direzione musicale del giovane Diego Ceretta con eccellenti concertati in cui le voci si sono intrecciate senza confondersi o sovrapporsi.
Don Bartolo, interpretato perfettamente dal basso Marco Filippo Romano, trasmetteva tutta l’incontenibile gelosia nei confronti di Rosina. Ed è riuscito a far sorridere i melomani parmensi, quando a un certo punto ha compiuto una inaspettata imitazione gestuale di Giambruno, l’ex compagno della Meloni. Il pubblico non vedeva l’ora di rivedere questa famosissima opera, fra le più rappresentate al mondo e impregnata di vis comica, scritta in soli 20 giorni nel gennaio del 1816 dal giovanissimo Rossini per il Teatro Argentina.
Siamo stati sommersi da questo belcanto virtuosistico fondato sulla nitidezza del gorgheggio. A cominciare da Rosina, interpretata con grande vigore dal contralto Maria Kataeva, sommersa, per il suo virtuosismo, da grandi ovazioni dopo l’aria del terzo atto, e dal protagonista Figaro messo in scena dal basso Andrzej Filonczyk. È un Figaro il suo, meno stentoreo di quello al quale siamo avvezzi, e perciò felicemente libero da quella truculenza astiosa di cui lo caricano altri interpreti più possenti dal punto di vista vocale.
Il Don Basilio (il basso Roberto Tagliavini) è molto caricaturale, più recitato che cantato.
Un perfetto prete azzeccagarbugli che conferma la via maestra nella cultura italiana della satira sul prete non degno, a cominciare dal Boccaccio al Belli, da Dante Alighieri a Giuseppe Verdi per non parlare del Manzoni. Un pasticcione strepitoso, quasi un autoritratto di Rossini stesso, sempre alla ricerca di impresari, teatri, librettisti, primedonne per attuare le sue opere.
Veramente carino il servitore di Don Bartolo, Ambrogio (il basso Armando De Ceccon) che con i suoi micromovimenti di danza punteggia impeccabilmente i vari momenti dell’opera.
Come ben congegnate sono risultate anche la figura di Fiorello (il basso William Corrò) servitore del conte di Almaviva, e quella di Berta (il soprano Licia Piermatteo) che si è meritoriamente presa anche lei applausi a scena aperta.
Sempre ottimamente coordinato il Coro del Teatro Regio di Parma diretto da Martino Faggiani.
Come ben ci racconta Giuseppe Martini nel libretto di sala, la inimitabile capacità rossiniana di travolgere lo spettatore viene raggiunta con una formula che unisce indissolubilmente musica e versi e che punta a svuotare il contenuto delle parole per restituire solo le ambiguità dei suoni, scoprendo con due secoli e mezzo di anticipo cose su cui spenderanno tante energie i linguisti come Jakobson e i musicisti come Berio.
Felice inizio di Stagione quindi quella che ci siamo ritrovati con piacere ad assistere a Parma grazie all’infaticabile novantatreenne Pier Luigi Pizzi che non smette di stupirci con la sua grande inimitabile regia perfettamente calibrata.
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