Bob Wilson Pessoa. Since I've been me Maria de Medeiros ph. Lucie Jansch

“Pessoa, Since I’ve been me” è uno spettacolo imperdibile quello che Firenze ha in scena in questi giorni. Il mitico Robert Wilson questa volta ci ha affascinato con la sua poetica rilettura del grande letterato portoghese, Fernando Pessoa,  sicuramente uno degli autori più importanti del modernismo del XX secolo, immergendo il pubblico nelle sue mirabolanti magie scenografiche, colme di strabilianti effetti luministici con una super affiatata Compagnia  che ci ha piacevolmente travolto, danzando e recitando in quattro lingue. Seguendo la perfetta drammaturgia di Darryl Pinckney. Una riuscitissima operazione che ha incantato tutti e che meritoriamente il teatro della Pergola ha saputo produrre e ideare assieme al Theâtre de La Ville di Parigi.

Il regista ci ha sommersi di frasi particolarmente emblematiche del pensiero di Pessoa come
“Ama bevi e taci. Il resto è niente.
Sono colui che non sono riuscito ad essere.
Tutti siamo coloro che abbiamo creduto di essere. La nostra realtà è ciò che non abbiamo mai conseguito”

Pietra miliare del teatro sperimentale mondiale”, come lo ha definito il New York Times, Bob Wilson fu scoperto in Europa nel ’76, al Festival di Avignone, con Einstein on the beach, uno spettacolo creato in coppia con il musicista Philip Glass, una rivoluzionaria opera contemporanea. E l’Italia quella volta arrivò prima dei francesi: già nel ’74 infatti Wilson aveva debuttato al Festival dei Due Mondi di Spoleto in prima mondiale con A letter for Queen Victoria, uno spettacolo in quattro atti contrapposti dove l’elemento guida è il tempo, e protagonista è un ragazzo autistico che Wilson era riuscito a far esprimere nella sua matematica genialità, al di fuori di ogni schema. Rivendicando così al teatro e a se stesso una funzione maieutica e socratica; convinto, com’è tutt’ora, che un bambino nasce con la conoscenza dentro di sé.

Bob Wilson Pessoa. Since I've been me ph. Lucie Jansch

Il suo è un teatro programmaticamente di gesti e di immagini, non testuale o di parola, un tipico prodotto della storia americana e del babilonico caos linguistico che essa ha accumulato; un frutto di questo paese di immigrati da ogni parte del mondo in cui spesso ci si comprende più facilmente per immagini che a parole. Bob Wilson dice di sé che avrebbe voluto essere un buon pittore, ma non lo è. E allora usa il teatro, la scena, per realizzare quadri: ogni suo allestimento è prima di tutto un disegno, gli attori e i cantanti vengono disposti proprio nel punto previsto per loro dai suoi disegni. “Per me Bob”, diceva Heiner Muller, grande autore tedesco fra i più radicali, con cui Wilson in passato ha interagito, “ha la stessa funzione del cubismo nell’arte figurativa: serve da impianto di depurazione, vi si passano al setaccio i mezzi teatrali e improvvisamente prendono corpo nuove forme e nuove tecniche. Ma sarebbe da stupidi volerlo copiare, certe cose le può fare solo lui”.

Wilson lavora sulla saggezza essenziale della fiaba, e quest’ultimo lavoro su Pessoa, lo ha confermato ampiamente. Per la precisa gestualità, memore anche del teatro delle marionette, ad esempio nella posizione delle mani degli attori, sempre come appese al suo filo registico… E per la gestione del palcoscenico, completamente privo di arredi, se non per la scena centrale con i 7 iconici tavolini da cui gli attori ci raccontano la loro frammentata esistenza, colma di luci trascoloranti, di movimenti coreografici. Per Bob Wilson diviene inevitabile l’associazione al magico mondo poetico dei film di animazione di Michel Ocelot. Il suo piccolo capolavoro del 2000, Princes et Pricesses, contiene decise assonanze con la poetica di Bob Wilson alle prese con la scardinante poetica del portoghese Pessoa che ci ricorda come l’uomo sia come un insetto che sbatte contro il vetro e non capisce cosa gli succeda. A differenza dei poeti e degli artisti che sanno andare oltre questo limite riuscendo a vedere oltre il vetro cose inaspettate.

Per Wilson, che come ci raccontava lui stesso si è formato con i grandi nomi della danza americana, da Merce Cunningham a Balanchine, dentro una tradizione teatrale che non conosce le nostre forme di resistenza, è di estrema importanza la categoria “tempo”, la sua relativizzazione, la scomposizione dell’attimo in secondi e millesimi di secondo; da lui si può imparare lo smembramento del teatro nei suoi elementi, l’anatomia del tempo teatrale. Il suo è un teatro interno alla dialettica di libertà e meccanizzazione.

Ora Bob Wilson, questo architetto prestato alle scene, è accerchiato, quasi alienato dal successo, (è impressionante la mole di lavori che ha in questo momento in tournée in giro per il mondo) ma non smette di farsi domande. Al contrario il problema dei registi europei è tutto qui: fanno solamente quello che sono in grado di fare, ma questa è veramente la fine: “si può fare teatro solo tentando di realizzare quello che non si è in grado di fare”, ci ricordava ancora Muller. Ed è per questo che siamo tutti felici di rivederlo all’opera con questo suo nuovo lavoro dedicato a Fernando Pessoa, poeta nato a Lisbona che ha dedicato tutta la sua vita alle questioni esistenziali.  Bob Wilson ha saputo sintetizzare in questi episodi quasi clowneschi dove, divertendoci a più non posso, ci ha fatto riflettere sulla vita di ognuno di noi svelandoci gli altri-sé, gli eteronomi, attraverso i quali Pessoa costruisce i suoi scritti letterari avanguardistici che spaziano da atmosfere classiche a quelle in versi: “Mi sembra di aver abbandonato me stesso su un sedile di un tram per essere trovato dal caso di chi stava per sedercisi sopra. La mia anima si è rotta come un vaso vuoto e si è rotta in più pezzi di quelli che componevano la porcellana del vaso.” e esattamente come quella degli attori in scena anche l’anima di noi spettatori, alla fine si è sentita come loro: un vaso rotto che si è piacevolmente frantumato in più pezzi di quelli in cui eravamo composti all’inizio dello spettacolo.

Gli attori multietnici in scena, uno più bravo dell’altro, sono Maria de Medeiros, Aline Belibi, Rodrigo Ferreira, Klaus Martini, Sofia Menci, Gianfranco Poddighe e Janaina Suaideau.

Lo spettacolo è stato coprodotto dal Teatro Stabile del Friuli-Venezia Giulia, dal Teatro Stabile di Bolzano, dal São Luis Teatro Municipal de Lisboa e dal Festival d’Automne à Paris. E in collaborazione con Les Théãtres de la Villa de Luxembourg.

In Prima Mondiale al teatro della Pergola di Firenze in scena fino al 12 maggio.

Sergio Buttiglieri

 

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