Quest’anno la Scala ha messo in cartellone il famoso trittico di Kurt Weill: Die Sieben Todsünden (I sette peccati capitali) del 1933, questo balletto con canto nacque in perfetta sinergia con Bertolt Brecht. Cui è seguita la piccola cantata scenica Mahagonny Songspiel del 1927 e per l’occasione arricchito con The Songs of Happy End, una piacevole selezione di brani della commedia musicale del 1929 Happy End dando così vita al Trittico Weill.
La prima opera narra di due sorelle Anna I (cantante) e Anna II (danzatrice) che sono in realtà le diverse facce di una stessa persona e intraprendono un viaggio dalla Louisiana per cercare fortuna nelle città degli Stati Uniti. In una visione disincantata e corrosiva della società capitalistica, i peccati non conducono alla perdizione, ma sono solo una minaccia per il conseguimento della ricchezza e del benessere. Lo ben sottolineava Brecht che più tardi intitolerà questo ciclo di poesie I sette peccati capitali dei piccoli borghesi (Die sieben Todsünden der Kleinbürger).
Sei anni prima, nella primavera del 1927 il Festival della nuova musica di Baden Baden aveva commissionato a Weill, l’opera da camera in un atto Mahagonny. Reduce da un buon successo con Der Protagonist (che ho avuto la fortuna di rivedere messo in scena al Teatro Malibran di Venezia) su testo di Georg Kaiser, un’opera da camera in un atto. Dove teatro musicale e pantomima s’intrecciano. All’interno di una iconica ambientazione in epoca elisabettiana.
Il talentuoso giovane compositore Kurt Weill
Il talentuoso venticinquenne compositore Kurt Weill che, dopo l’apprendistato con Ferruccio Busoni, morto nel 1924, aveva trovato nel maturo drammaturgo Georg Kaiser un nuovo mentore.
In questo testo meta-teatrale è sempre la donna a fare le spese della violenza maschile. La direzione musicale d Markus Stenz è riuscita calibrare le sonorità senza soffocare le ottime voci a partire dalla sorella partecipe e svettante del soprano Martina Koziorowski. Buona anche la regia, le scene e i costumi di Ezio Toffolutti.
Alla Scala abbiamo assistito a questo trittico magnificamente diretto da Riccardo Chailly con la pregevole regia di Irina Brook che ha curato anche le scene, i costumi e i video.
E nelle sue note di regia Irina Brook sottolinea:
“Il Trittico parla di tutti i problemi di oggi: noi non facciamo abbastanza per gli altri. Pensiamo solo a noi stessi, alle scadenze quotidiane, dimenticandoci dei disastri del mondo. Mi riempie di energie l’opportunità di parlare di temi così attuali ma con una certa distanza e soprattutto con una musica piena di gioia. C’è una contrapposizione unica e affascinante tra lo stile della musica e quello delle parole. Se facessi uno spettacolo in cui un gruppo di ambientalisti grida le proprie convinzioni in scena non verrebbe nessuno. Ma facendo questo spettacolo in cui le idee sono sublimate, forse qualche messaggio passa, almeno spero”.
Mahagonny
Dopo I Sette Peccati Capitali abbiamo potuto assistere a Mahagonny. Anche in questo caso abbiamo assistito a una critica corrosiva di una realtà degenerata dominata dal Dio denaro. L’utopica città di Mahagonny, immaginata dai protagonisti (i 4 uomini Charlie, Billy, Bobby e Jimmy, e le due donne Jessie Bessie) con una terra da sogno dove trovare ricchezza e divertimento, whisky e tali da gioco, a conti fatti si rivelerà un inferno dominato da anarchia e tumulti, nel quale per tirare a campare le donne sono obbligate a vendere il proprio corpo, e gli uomini sono intenti a cercare alcolici, sesso a pagamento e soldi da sperperare nel gioco d’azzardo.
La serata si conclude deliziosamente con un florilegio di tredici canzoni in tedesco dal musical in tre atti Happy End mai eseguito in forma scenica alla Scala.
Il cast dei cantanti-attori
Di grande qualità la compagnia di cantanti-attori a cominciare dal soprano israeliano Alma Sadé che impersonava sia Anna I, Bessie e Mary. Con una vocalità vivace e chiara, puntuta e di buon peso. Una recitazione appassionata e viscerale. Un fraseggiare potentemente espressivo.
Come anche il baritono texano Elliott Carlton Hines nei ruoli di Bruder I, Bobby e specialmente Sam Worlitzer per la voce corposa e di colore scuro. Per la recitazione estremamente briosa e coinvolgente in particolare nella “song von Mandelay” del terzo titolo. Per non parlare della bravura del basso statunitense Andrew Harris o del tenore austriaco Matthäus Schmidlechner e l’australiano tenore Michel Smallwood.
Grande successo per questa rara rappresentazione del ‘900 che finalmente ritorna in scena al Teatro alla Scala (ultima rappresentazione nel marzo 2001) facendoci percepire il rapporto tra Weill e Brecht e tutte le implicazioni estetiche di un teatro musicale in linea con le istanze della “Nuova oggettività” ma che si affiancano a quelle non meno rilevanti di quelle sociali e politiche.
Sergio Buttiglieri
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