respiro

Per tutti noi esseri viventi tutto inizia con un respiro e finisce con la sua assenza e lì, nel mezzo, si tende l’arco della nostra vita
Oggi purtroppo complice la pandemia la parola respiro ha trovato purtroppo un significato del quale prima, forse, non abbiamo avuto piena consapevolezza. Il Coronavirus cinese, per dirla in modo semplice e banale uccide bloccando il respiro. Ferma l’ingresso della vita nel corpo. E non serve la psicoanalisi per sapere come l’incubo della mancanza d’aria indichi che siamo di fronte a una paura ancestrale.  Questa paura con la pandemia è diventata palpabile, prima davamo per scontato il respiro, intanto va da solo, come il vento, accelera e decelera
 seguendo le personali emozioni, ma non si ferma. Pensate che noi esseri umani respiriamo 21.600 volte al giorno, in media 15-30 volte al minuto senza rendercene conto! Quanto siamo consapevoli che cambiando il respiro cambiamo ciò che accade nel corpo, nella mente, nelle emozioni? La parola respiro deriva da respirare, voce dotta recuperata dal latino col significato di soffiare di nuovo, respirare, derivato di spirare soffiare, col prefisso durativo re-. Per i linguisti il respiro ha una base onomatopeica, non solo un sibilo ma un pulsare di vita, un ribollire, simile all’alternanza dell’onda del mare e la risacca. Il respiro non si vede se non grazie al freddo. Non si vede se non sul vetro che appanna gli occhiali al primo alito se indosso la mascherina, in quei momenti il respiro rimane anche se affannoso, sempre vitale. Alla nostra nascita su questa terra il respiro nel parto diventa forza vitale. Il primo inspiro-respiro del neonato, quando esce dalla pancia della mamma e incontra l’aria, è un suo sì alla vita, una sua decisione di esserci. Un modo di dire, io inspiro, prendo la vita dentro di me, esisto! Ogni respiro alimenta la combustione di ossigeno e glucosio e produce l’energia necessaria a ogni processo vitale, da quelli fisici a quelli mentali, emozionali, spirituali, anche adesso che scrivo queste poche parole. Nel respiro di ognuno di noi c’è la mappa della nostra vita, la nostra biografia vitale, proprio come c’è nelle rughe del volto, come scriviamo o nel modo particolare in cui ci muoviamo. Se non ci fosse respiro non ci sarebbe musica, e non mi riferisco  al respiro dei grandi della musica come Mozart, Bach o Beethoven ma anche di chi in casa sua per suo diletto il pianoforte.  La musica evoca anche le metafore delle partiture, appunto, di grande respiro. In un concerto si incontrano due organismi, il Maestro e i Musici che respirano la musica l’uno con l’altro, perché saper respirare e saper ascoltare sono due abilità interconnesse tra loro.  Il canto è la prosecuzione del respiro, il respiro per tutti noi è la vita e nella vita rappresenta l’anima. Ritengo che quando si canta, anche sotto la doccia è come guardare negli occhi il respiro, e quindi noi stessi. Quando cantiamo il respiro da forza alle note e alla nostra vita. Nelle partiture musicali mi ha detto un mio grande amico il segno in forma d’apostrofo posto sopra il pentagramma, serve a indicare a un cantante o a un suonatore di strumento a fiato il momento in cui può respirare senza interrompere la continuità di una frase musicale. Penso che se la condizione dell’inferno dovesse essere descritta aggiornandola ai nostri giorni, sarebbe proprio quella di trovarsi stesi in un letto di rianimazione, fermi immobili, consapevoli di non poter fare niente, neppure girarsi su un fianco, senza più nessuna dignità del nostro corpo nudo invaso da ogni tipo di cannula, e non responsabili di nulla, neppure del nostro respiro. E se oggi non è una bella giornata, facciamo un bel respiro profondo perché la vita è bella e cerchiamo di sorridere, il sorriso permette all’anima di respirare se poi ci vacciniamo proteggiamo noi stessi, i nostri affetti e tutte le persone che incontriamo e respiriamo con tranquillità!

Giorgio Cortese

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