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Pompei e Vinum nostrum: una mostra e un viaggio nei luoghi storici del vino

FIRENZE, PALAZZO PITTI

dal 20 luglio 2010 al 15 maggio 2011

Al via gli itinerari in Campania e in Lucania, dal 19 luglio al 15 maggio 2011

E’ Pompei  la protagonista della grande mostra Vinum nostrum  (dal 20 luglio al 15 maggio 2011 a Firenze, Palazzo Pitti) che ripercorre la storia della vite nell’antichità, dalla Mesopotamia alla Grecia fino a Roma, da dove si diffuse a tutte le Provincie dell’Impero. Particolarità dell’iniziativa è quella di proporre contemporaneamente in tutta Italia una serie di itinerari collegati a partire naturalmente dall’area archeologica vesuviana, custode di una testimonianza unica sulla viticoltura antica: l’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. infatti sigillò oltre alla città con i suoi abitanti anche gli ambienti naturali insieme alle straordinarie tracce di una coltura  che tanta parte ebbe nella storia antica.  Il reimpianto e la valorizzazione dei vigneti dell’antica Pompei  costituiscono ormai un modello per gli scienziati di tutto il mondo: nata da un importate lavoro di sperimentazione condotto da oltre quindici anni dal Laboratorio la loro valorizzazione conosce oggi un nuovo impulso grazie alla promozione voluta dal Commissario delegato per l’emergenza Marcello Fiori. Il pregiato vino  Villa dei Misteri in seguito al coinvolgimento delle ambasciate italiane di tutto il mondo, è divenuto così un significativo biglietto da visita delle attività di una Pompei sempre più viva. Tra i vari riconoscimenti scientifici la SANP ha ricevuto anche il Premio Roero 2003 dedicato al paesaggio viticolo italiano.
’Durante l’intero periodo della mostra chi verrà a visitare Pompei potrà percorrere una “via del vino antico” – spiega Fiori – ma sarà anche invitato a recarsi a Firenze a visitare la mostra o quei luoghi poco noti della Basilicata e della Campania che hanno visto germogliare tanti secoli fa quelle viti, che qualche sconosciuto navigante aveva portato dalla lontana Grecia. 
È un tentativo, raro nel nostro Paese, di legare un percorso espositivo alle realtà territoriali: se riuscirà, non solo sarà motivo di orgoglio per tutti quelli che a questo progetto hanno lavorato, ma soprattutto sarà anche una piacevole occasione di scoperta e di crescita per quei turisti che vogliono unire la qualità archeologica alla qualità del paesaggio e dell’ambiente naturale’’.
Ecco perché è la Soprintendenza archeologica di Napoli e Pompei con il suo Laboratorio di Ricerche Applicate diretto da Annamaria Ciarallo, a curare per Campania e Lucania, che era l’antica Enotria, le iniziative collegate alla mostra fiorentina Vinum Nostrum. La Soprintendenza della Basilicata ha infatti affidato al Laboratorio pompeiano i suoi campioni per  lo studio naturalistico della viticoltura antica  in ambito magnogreco.
I primi due percorsi al via il 20 luglio. A Pompei “La via del vino nell’ antica Pompei”. A Grumento, nel Museo Archeologico dell’ Alta Val d’ Agri, la mostra “Dioniso e le Ninfe: culto e iconografia”.
 

(Nella foto in alto a sinistra: Pompei – particolare del mosaico nel vigneto del triclinio estivo)

DUE ITINERARI IN CAMPANIA – La Campania Felix degli antichi era notissima anche per la produzione di vini: gli autori classici citano in particolare il Falerno, il Pompeiano, il Sorrentino. La viticoltura campana è perdurata nei secoli – Santa Lancerio, ad esempio, nel 1536 enumera ben quattordici vini di alta qualità molto amati da Paolo III Farnese, di cui era “bottigliere” – e ancora oggi nella regione si producono vini molto pregiati.

 

(In foto: Pompei – vigneto con anfiteatro)

POMPEI – Gli studi condotti nell’antica Pompei, confermando quanto sostenuto dagli Autori classici circa la produzione di un “vino pompeiano” hanno evidenziato la presenza di vigneti in alcune aree a verde dislocate nei quartieri, che si sviluppavano intorno all’Anfiteatro. Sul terreno furono trovati, infatti, non solo pollini e frammenti di legno appartenenti a viti, ma anche le cavità lasciate nel terreno dalle radici, i cui calchi confermarono la presenza di viti appoggiate a pali di legno e dislocate su filari orientati in direzione N-S con distanze tra filari e su filare, che corrispondevano a quelle indicate dagli agronomi classici. Volendo restituire al loro antico uso quegli spazi la scelta delle varietà da mettere a dimora fu stabilita da uno studio ampelografico comparato tra i grappoli d’uva raffigurati negli affreschi e quelli dei vitigni campani che la tradizione vuole discendano dai capostipiti greci e romani. Dopo una sperimentazione colturale durata quattro anni si decise di reimpiantare i vigneti due vitigni autoctoni, lo sciacinoso e il piedirosso, i cui capostipiti si identificavano probabilmente con la Vitis oleogina e la Columbina purpurea . Attualmente le uve prodotte nei vigneti dell’antica Pompei vengono vinificate dalla Mastroberardino con il nome dei “Villa dei Misteri”: 
Cantine Mastroberardino – Le cantine Mastroberardino sono state premiate nel 2003 con il Premio Roero dedicato al paesaggio viticolo italiano per l’attività di recupero e di valorizzazione dei vitigni autoctoni campani. La loro storia risale ufficialmente al 1878, ma fin dall’inizio del secolo precedente la famiglia, rimasta ininterrottamente alla guida dell’Azienda e giunta oggi alla decima generazione, svolgeva la sua attività nel settore del vino. Al dr. Antonio Mastroberardino, Cavaliere del Lavoro ed attuale Presidente Onorario della Società, è unanimemente riconosciuto il grandissimo merito di avere creduto nella vocazione vinicola del territorio irpino e nella qualità dei suoi vigneti quando, alla fine della seconda guerra mondiale, essi erano sull’orlo dell’estinzione. La sua passione e competenza ne ha permesso il recupero e la valorizzazione, premiati sia dalla loro affermazione sui mercati di tutto il mondo, sia dal riconoscimento della prestigiosa Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) attribuita prima al Taurasi nel 1992 e poi nel 2003 al Greco di Tufo ed al Fiano di Avellino: una straordinaria concentrazione di vini di pregio per un territorio di ridotte dimensioni.

LA COPPA DI NESTORE E LE VITI DI ISCHIA  Ischia ha un ricco patrimonio storico-artistico, che comprende a Lacco Ameno il Museo e gli Scavi di S. Restituta e soprattutto il Museo Archeologico di Pithecusae, in cui sono conservate la Coppa di Nestore ed altre testimonianze che segnano l’origine della viticoltura in Campania. A Forio si segnalano i Giardini La Mortella, realizzati negli anni ‘30 dal famoso paesaggista Page. L’itinerario comprende il Museo di S. Restituta   posto sotto la chiesa Santa Restituta situata nel comune di Lacco Ameno, nel luogo stesso degli antichi insediamenti e Il Museo Archeologico di Pithecusae,  a Lacco Ameno. Il Museo è ospitato nell’edificio principale del complesso di Villa Arbusto, costruito nel 1785 da Don Carlo Acquaviva, Duca d’Atri, lì dove esisteva la masseria dell’Arbusto. La proprietà divenuta nel 1952 residenza estiva dell’editore A. Rizzoli fu acquistata, poi dal Comune di Lacco Ameno per ospitarvi il Museo Archeologico, destinato ad illustrare la storia dell’isola dalla Preistoria sino all’età. Romana.
Il Complesso dell’Arbusto comprende anche uno splendido parco, ricco di una grande varietà di piante, e gode di una straordinaria posizione panoramica. Numerosi ed importantissimi sono sopratutto i reperti relativi all’insediamento greco di Pithecusae, fondato nel secolo quarto dell’VIII sec. a.c. da Greci provenienti dall’isola di Eubea.  
Cantine d’Ambra – Il vigneto Frassitelli delle Cantine D’ Ambra è stato celebrato da Veronelli come uno dei “piu’ belli al mondo”. La viticoltura sull’ isola di Ischia ha radici antichissime, testimoniate dai reperti conservati nei suoi Musei: essa
si è protratta nei secoli gestita con fatica dalle famiglie locali, che hanno strappato la terra terrazzando anche alle pendici più acclivi.  Le Cantine d’ Ambra fondate nel 1880, sono celebri per il recupero dei vitigni autoctoni isolani e per il ripristino dell’ antica viticoltura ischitana caratterizzata da stretti terrazzamenti situati a 500 mt. d’ altezza a strapiombo sul mare. Le cantine sono affiancate da un Museo dedicato alle tradizioni agricole ischitane, che completano in maniera significativa il percorso di visita. 

In Lucania – Terra ancora oggi sconosciuta agli Italiani stessi, la Lucania, odierna Basilicata, è un po’ la culla della viticoltura europea: non a caso la sua più antica popolazione era quella degli Enotri, che abitavano l’ Enotria, la terra del vino, e i suoi vini, i lucani e i lagarini, sono ricordati dagli scrittori classici. La Regione ha tutelato gran parte del propri territorio e oggi è quella che in Italia in proporzione ha la maggiore concentrazione di parchi e di riserve naturali. Particolarmente ricco il programma degli itinerari a partire da quello del  Vulture, un vulcano a caldera spento da epoca preistorica. Ricco di sorgenti, ricoperto di boschi formati tra gli altri da faggi, querce, frassini ha una ricca flora costituita da ben 977 specie comprendenti piante officinali di pregio. Le sue larghe e fertilissime pendici di natura vulcanica ospitano estesi vigneti coltivati ad aglianico: il termine sembra essere corruzione di vitis hellenica, il vitigno che la tradizione vuole importato nella terra degli Enotri dall’ antica Grecia. Soprattutto nei vigneti a consumo familiare la tecnica colturale è molto antica: viti condotte ad alberello basso e tralci raccolti su tre canne appositamente disposte. Uno dei paesi più rappresentativi è  Barile il cui nome potrebbe anche essere riferito allo stemma che raffigura un barile e un grappolo d’uva, a testimonianza  della vocazione territoriale strettamente legata all’ aglianico.. Interessanti sono le oltre cento cantine scavate nel tufo circa cinque secoli fa e ancora oggi utilizzate per l’invecchiamento del vino, simbolo dell’arte enoica barilese. Nel territorio sorgono le Cantine Paternoster premiate nel 2004 con il Premio Roero proprio per l’ attività di recupero e di valorizzazione della viticoltura nell’ area del Vulture, iniziata già agli inizi del secolo scorso ad opera di  Anselmo Paternoster , che decise nel 1925 (data ancora ben visibile sul portone dell’azienda), di destinare alla vendita le prime bottiglie di Aglianico, sino ad allora prodotte per consumo familiare.
Non molto lontana sorgono Melfi, con l’ imponente castello di Federico II e  Venosa, patria di Orazio. Poco fuori del suo  abitato sono l’ anfiteatro e i resti di un quartiere di epoca romana con mosaici raffiguranti anche tralci di vite. 
I percorsi del vino continuano passando per Pietragalla, , ai margini dell’ area del Vulture, il cui Comune è stato premiato il Premio Roero 2004  per l’ attività di recupero e di valorizzazione dei palmenti che caratterizzano il suo territorio: appena fuori paese sorge infatti un vasto insediamento di queste caratteristiche strutture utilizzate per la pigiatura del vino scavate parzialmente nel tufo e ricoperte di zolle di terra. Questi palmenti, organizzati, a seconda del numero dei proprietari che si servivano di ciascuno di essi, con una o più vasche per la pigiatura in cui veniva lasciato fermentare il mosto, sono di grande interesse per lo studio dell’ architettura rurale del passato. 
Lo fronteggia, torreggiante a 900 m di altezza, Acerenza, l’antica Acheruntia citata da Orazio, giudicato uno dei più bei borghi d’ Italia, celebre per la sua Cattedrale. Su un versante dell’ alta collina su cui sorge la città si aprono le caratteristiche celle per la conservazione del vino scavate nella roccia. 
L’altro percorso del vino in terra lucana si svolge in  Val d’Agri, cuore del Parco Nazionale dell’ Appennino Lucano: racchiusa tra le alte montagne del Volturino e del Sirino gode di una splendida natura ed è ricca di testimonianze archeologiche che ne sottolineano il percorso seguendo il fiume fino al suo sbocco nello Ionio, nei pressi dell’antica Heraclea, in quella porzione di territorio dove erano i terreni dedicati a Dioniso. Terra di famose scuole di ceramisti fioriti alla fine del V sec. a. C., fu forse una delle vie percorse da alcune varietà di vite per giungere dall’antica Grecia a Roma.  Plinio indica i luoghi che circondavano Grumentum (Grumento) come area di produzione dei vini Lagarini: attestazioni arrivano anche dal ritrovamento di reperti archeologici di varia natura legati al mondo del vino. D’altra parte nell’ area archeologica sono conservati alcuni palmenti ottocenteschi, che dimostrano il perdurare nel tempo della tradizione viticola del luogo. 

 

GUSTARE L’ITALIA

 

Per informazioni sugli itinerari:
POMPEI
www.pompeiisites.org

Museo degli Argenti 
Info e prenotazioni:
 prenotazioni@operalaboratori.com

In Basilicata:
www.archeobasi.it
www.parcoappenninolucano.it
www.comune.pietragalla.pz.it
www.comune.acerenza.pz.it

fonte:uffstpsoprintendenzaarcheologicadipompei

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