Tradizione e marchi di registrazione consacrano la montagna lombarda a regina della tavola. Un’eccellenza dei sapori che è diventata “superiorità riconosciuta”.
Un vero e proprio viaggio enogastronomico parte dai bastioni rocciosi della Valtellina – dove pascoli e fitti boschi lasciano il posto ai secolari terrazzamenti che digradano sino al fondovalle – e arriva alle verdissime vallate della fascia prealpina, in cui la pastorizia occupa ancora un ruolo di primissimo piano.
Valtellina: mille tentazioni

Sul fronte caseario, invece, i ricchi pascoli del versante orobico, e in particolare quelli della val Gerola – incisione laterale che si diparte da Morbegno – donano un prodotto straordinario come il bitto, per lungo tempo apprezzato da un limitato numero di estimatori e divenuto oggi il “formaggio di punta” della Valtellina. Prodotto in estate negli alpeggi in quota, si ottiene dal latte appena munto delle mucche di razza bruna, lavorato con il caglio nelle caldaie di rame a campana rovesciata, le cosiddette “culdere”. Le forme vengono poi fatte stagionare nelle casere situate nelle zone di pascolo per un periodo che va dai due ai tre mesi, il tempo che i pastori trascorrono in alpeggio prima di scendere nuovamente a valle, dove il bitto stagiona ancora a lungo (anche fino a 8 anni) prima di essere servito in tavola.
Il prelibato formaggio è caratterizzato dalla sottile crosta giallo pa-glierino, una pasta compatta a occhiatura rada e dal sapore burroso che tende a essere più forte e aromatico nelle forme più stagionate. Tra i numerosi prodotti di latteria – se ne conta almeno uno per località, quando non addirittura per contrada – spicca il casera, produzione DOP largamente utilizzata nella preparazione dei piatti della tradizione valtellinese: innanzitutto nei pizzoccheri, famosi maltagliati di farina di grano saraceno, cotti insieme a patate e verze e conditi con burro e formaggio a volontà, e poi negli sciatt, frittelle, anch’esse di grano saraceno, ripiene di filante formaggio.
