Riserva-San-Massimo la maturazione del riso
Riserva San Massimo La Maturazione Del Riso
ITALIA DA GUSTARE LA STORIA DEL RISO
GUSTARE L’ITALIA  e il  Cereale antico ricco di fascino e di leggende, inventato dagli Dei, forse. E’ apparso sulla terra circa quindicimila anni fa in Oriente, le risaie più antiche hanno oltre 4 mila anni e sono state scoperte in Cina.  Alimento base di circa 1/3 della popolazione terrestre. Il riso è il nome di circa 19 specie di piante erbacee annuali, della famiglia delle graminacee, ma solo la Oryza sativa è importante per l’alimentazione umana.
L’Oryza sativa è una pianta originaria delle regioni dell’Asia sudorientale si dice coltivata in modo intensivo da più di 7000 anni, come dimostrano alcuni reperti databili intorno al 5000 a.C., ritrovati nella Cina orientale, e ad altri reperti risalenti al 6000 a.C. ritrovati in una caverna della Thailandia settentrionale Resta un mistero come questo magico chicco destinato a diventare nel corso dei secoli cibo essenziale per molte popolazioni sia arrivato in Occidente;
in Europa venne introdotto all’inizio del VIII secolo attraverso la Spagna con l’invasione degli arabi che lo fecero conoscere anche nell’Italia del sud.  Durante il Medioevo venne considerato come una delle tante spezie orientali usato prevalentemente sotto forma di farina per ispessire le minestre o come  medicinale e solo nel Rinascimento acquistò il suo ruolo di alimento. Le prime notizie sulla coltura del riso in Italia, risalenti all’Alto Medioevo, riguardano proprio la sua coltivazione nelle zone paludose a sud-ovest di Vercelli da parte dei monaci Benedettini nel 1200.
In realtà le prime date certe, basate su documenti, risalgono alla seconda metà del XV secolo, con risaie nella Valle del Po. Uno dei primi documenti  è una lettera, del 1475, con la quale il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza accompagna il regalo di un sacco di riso al duca d’Este, signore di Ferrara. Ed è Leonardo da Vinci che viene incaricato di perfezionare la canalizzazione per l’irrigazione delle risaie alla tenuta Sforzesca, presso Vigevano e nelle vicine zone paludose della Valle del Po
  LA STORIA DEL RISOTTO
Il risotto è nato a Napoli. Quest’affermazione, con qualche esagerazione, e una buona dose di approssimazione (due caratteristiche tipiche – secondo alcuni – dei napoletani) contiene in sé alcuni grani (si stava per dire: alcuni chicchi) di verità. Considerando infatti che il riso è il padre del risotto, va ricordato che l’uso alimentare del riso in Italia è incominciato a Napoli. Non che l’abbiano scoperto i napoletani, il riso: l’avevano portato fino al loro gli spagnoli (per la precisione: gli Aragonesi) nel  XIV secolo.
I napoletani cominciarono così a consumarlo come piatto unico: però non fu mai, per loro, unico quanto la pasta. Che proprio in quegli anni andava affermandosi  e fermandosi stabilmente a Napoli. Il riso invece a Napoli non si trattenne, e nemmeno venne trattenuto; emigrò presto al nord, dove peraltro già lo conoscevano come farmaco e come ingrediente per dolci, e vi prese stabile dimora. Favorito in ciò dall’abbondanza d’acqua, per lui indispensabile per crescere bene.
Fu così che l’uso alimentare del riso si affermò soprattutto nel settentrione d’Italia. L’abitudine di mangiare riso perciò non è per nulla napoletana.
E ancor meno quella di preparare risotti. Più (e prima) che un piatto, il risotto è un  modo di preparare il riso, che si chiama “cottura a risotto”.
L’archetipo del  risotto è il risotto alla milanese. E, come vedremo, non solo l’archetipo: anche il prototipo.
La sua origine non è un giallo; è una leggenda.
Il  colore dipende dallo zafferano, pianta i cui fiori sbocciano in ottobre. La parte superiore dei pistilli (lo stimma)contiene una sostanza oleosa e aromatica. Gli stimmi vanno essiccati e macinati, fino a ricavarne una polvere gialla, un po’ amara e un po’ piccante.In Italia lo zafferano si coltiva poco, negli Abruzzi e in Sardegna.
In Europa lo producono la Spagna e la Grecia, nel mondo le maggiori piantagioni di zafferano si trovano in India e in Iran. Dove la mano d’opera costa poco: una fortuna, dal momento che l’intera lavorazione dello zafferano è manuale.
Per fare un chilo di zafferano si devono raccogliere 150 mila fiori, e ci vogliono 500 ore di lavoro. Lo zafferano si impiega in cucina (per il risotto di cui stiamo parlando, e per altro), ed entra nella preparazione di sciroppi e di liquori.
E non si ferma qui; entra anche in chiesa. O per lo meno c’è entrato in passato. E proprio là ha dato vita al risotto alla milanese.E’ una bella storia, e bisogna raccontarla bene. A partire dal 1385 cominciarono a giungere a Milano artisti, architetti,artigiani, muratori, pittori, vetrai.
Per dare il loro contributo alla“Fabbrica del Duomo”; un immenso cantiere che rimase aperto per decenni, fino ad esitare in quell’incredibile testimonianza del gotico fiammeggiante che sembra uscita dall’estasi di un mistico.Tra i convenuti c’era un fiammingo di Lovanio, tal Valerio  Perfundavalle, di professione pittore di vetrate.
Per conferire ai suoi gialli un tocco di brillantezza in più, Perfundavallle impiegava lo zafferano. A Milano si lavorava sodo fin d’allora, e lo spacco per il pranzo era piuttosto breve (non c’erano ancora i sindacati, del resto). Il nostro pittore pertanto si riduceva a mangiare un po’ di riso dalla “schiscetta”, sul suo ponteggio sospeso tra terra e cielo.
Com’è e come non è, un bel giorno, causa un movimento maldestro, un po’ dello zafferano che serviva per le vetrate finì nel riso.La leggenda sorvola sulle reazioni del nostro eroe (avrà forse sacramentato in fiammingo, a bassa voce dato il luogo).
Però….il riso colorato di giallo pareva proprio appetitoso. E il sapore? Perfundavalle esitò un istante. Poi si disse:che male può farmi? E’ una pianta! (Come la cicuta, NdR).Così l’assaggiò. Gli piacque molto. Da quel giorno le sue vetrate furono un po’ meno gialle, e il suo riso lo fu di più. La voce, com’è ovvio,si sparse. E lo zafferano passò in cucina. Come dire: dal croco al cuoco.Questa storia è sicuramente falsa, dalla prima all’ultima parola. Ma è suggestiva, perché mette insieme i due must di Milano: il Duomo, e il risotto alla milanese. Facendoli nascere nello stesso luogo, l’uno dall’altro.
Le scatole cinesi non hanno fine: da tutto questo scaturisce – secondo un’altra leggenda  anche il nome“risotto”. Un umanista, assaggiando questo singolare riso giallo, pare abbia esclamato: “Risus optimus!”Leggende ed amenità a parte, è documentato che la “cottura a risotto” è una tecnica tutta italiana.Che non si facciano avanti i soliti cinesi (che ci stanno – stavolta – sulle scatole): che smacco per loro, inventori di quasi tutto, essersi fatti scappare un  risotto giallo! O gli immarcescibili Arabi. I primi il riso l’hanno coltivato ed esportato, i secondi ce l’hanno  condotto quasi fin dentro casa.
Ma siamo stati noi italiani, con la creatività che il mondo ci riconosce, ad inventare e a rendere famoso il risotto.Certo è che nel 1791 il risotto in Piemonte era già un piatto tradizionale, anche se soltanto del bel mondo: i Savoia erano soliti farlo servire a mezzanotte, durante i ricevimenti che davano nei loro bei palazzi torinesi.
A codificare il risotto così come lo intendiamo oggi fu peraltro un cuoco rimasto semi-anonimo, dal momento che di lui conosciamo soltanto le iniziali: L.O.G. ….Nessun discorso che si occupi di cucina può comunque prescindere dal citare, magari di volata, il grande Pellegrino Artusi. Il grande emiliano (forlimpopolese) …..per poter mettere bocca in tutto,  mise in bocca tutto. Si deve a lui la classificazione dei risi in base alla cottura. Il risotto acquista così una sua specificità, cucinato – come dev’essere – in casseruola, con un soffritto al quale va aggiunto, poco per volta, del brodo.
Ma non c’è autenticità senza certificato di garanzia. Il risotto c’ha pure questo; il suo imprimatur come capolavoro dell’arte culinaria italiana reca nientemeno che la firma di Auguste Escoffier.
Quando parla, e scrive di risotti, il celebre cuoco francese non manca mai di definirli “una preparazione all’italiana”. E li descrive, abbinandoli ai luoghi d’origine (alla piemontese, alla milanese, alla fiorentina).
Da un punto di vista tecnico, il periodo di progresso più spettacolare della risicoltura italiana è stato quello a cavallo tra il XIX e il XX secolo, allorché si sviluppò la rete dei canali irrigui che modellarono il territorio e che costituiscono ancor oggi le fonti di approvvigionamento idrico della Valle del Po: il canale Cavour completato nel 1866; il canale Villoresi, realizzato tra il 1884 e il 1893, che attraversa la pianura lombarda derivando l’acqua dal Ticino; il canale Regina Elena, che dal 1954 rimpingua la disponibilità idrica del Canale Cavour attingendo dal Lago Maggiore.
Per quanto riguarda le varietà coltivate, va ricordato che in quest’area di produzione tradizionale nacquero, ad opera di costitutori locali, le varietà che ne hanno fatto la storia. Riso: come si presenta e le sue varietà
Gustare l’Italia conosciamo questa piantina della famiglia delle graminacee
La piantina di riso appartiene alla famiglia delle graminacea, a sua volta appartenente alla famiglia dei cereali. Questo vegetale cresce nell’acqua fino a presentarsi sottoforma di pannocchia composta da cento/duecento chicchi . Come tutti i cereali, si compone principalmente di amido , proteine, vitamine, minerali e fibra  di facile assimilazione. A differenza di altri cereali, il riso è l’unico che non contiene glutine , ideale per coloro che hanno intolleranze alimentari a questa sostanza (celiaci).
La composizione del chicco di riso:
Arista: è il baffo del chicco di risone (si chiama così quando è appena raccolto e non ha ancora subito nessun tipo di lavorazione), viene asportato durante la lavorazione del chicco.
Glumelle: il chicco di riso appena raccolto è rivestito da un involucro a più strati, tendente al colore marrone o giallo, dette appunto glumelle. Si potrebbero definire come la prima pelle del chicco di riso, la protezione del chicco stesso, costituiscono un 20% del peso totale.
Cariosside: è ciò che mangiamo e che rimane della lavorazione del riso (sbramatura). Costituito per la maggior parte da amido, rappresenta un 60% circa del peso totale.
Embrione: ogni chicco è portatore di un embrione, collocato in una piccola sacca detta spermoderma. L’embrione darà vita (nel riso da seme) ad una nuova pianta di riso ed è perciò una parte molto importante del chicco.
Esistono oltre cinquanta varietà di riso, le più conosciute e coltivate al mondo sono :
l’Indica
la Japonica
la Javanica.
L’Indica, originaria dell’India, è la più antica, presenta un chicco lungo, sottile e cristallino. Tra le sue varietà troviamo: il Basmati e il Patna, i classici risi orientali ideali per pilaf, piatti esotici, contorni e insalate.
La Japonica è invece originaria della Cina e presenta un chicco corto, rotondo e perlaceo. Dalla sua varietà derivano le tipologie di riso coltivate in Italia,che sono:
• Arborio
• Carnaroli
• Padano

• Baldo

• Vialone Nano
• Roma
• S. Andrea
• Balilla
• Lido
Risi con caratteristiche adatte alla cucina dei nostri piatti tradizionali come minestre e minestroni, risotti, supplì, arancini, sartù(ciambellone di riso di origine napoletana) , crocchette, verdure ripiene e dolci.
La Javanica, caratterizzata dal chicco grandissimo, tipologia poco diffusa.
Oltre a queste principali varietà si aggiungono risi ottenuti da particolari incroci, si ricorda il “Venere”, un riso nero originario della Cina ,attualmente coltivato in particolari zone della Pianura Padana, “il riso nero degli Indiani d’America” e infine il riso “rosso” di origine orientale .
 Per approfondimenti: Ente Nazionale Risi
Gustare l’Italia ancora altre nozioni  sulle origini del riso in Asia e la sua diffusione nel Mediterraneo e in Italia
Il riso asiatico (Oryza sativa) è originario di una vasta regione che si estendeva dall’India orientale fino alla Cina meridionale nella quale, agli inizi dell’Olocene, crescevano i suoi progenitori selvatici. In quei territori, compresi nella fascia tropicale e sub-tropicale delle piogge monsoniche, il riso sviluppò una sorprendente variabilità che gli consentì di colonizzare i più diversi ecosistemi.
Il riso selvatico è ancora oggi presente in molte aree della pianura del Gange in India, nelle regioni settentrionali di Burma, Thailandia e Vietnam e in quelle continentali e insulari dell’Asia sud-orientale.
La conoscenza e la coltivazione del riso nel Mediterraneo e in Italia.
Il mondo classico mediterraneo conobbe il riso orientale solo dopo la conquista dell’Asia da parte di Alessandro Magno. Teofrasto, contemporaneo di Alessandro, fu il primo a descrivere il riso nel suo trattato sulla storia delle piante.
Ne parlò come di un cereale che cresceva in acqua per lungo tempo e i cui semi erano particolarmente idonei ad essere bolliti per soddisfare le esigenze alimentari dei popoli dell’Asia. Il riso, quindi, prima del quarto secolo avanti Cristo aveva già raggiunto il Vicino Oriente, ma non si era diffuso nelle regioni limitrofe.
La conoscenza del riso nel mondo romano non fu quella di un cereale adatto all’alimentazione umana ma piuttosto quella di un prodotto medicamentoso che, sotto forma di decotto, veniva prescritto dai medici ai pazienti più ricchi per curare le malattie del corpo, come ricordato da Orazio. L’Egitto fu la prima tappa del percorso che portò il riso a diffondersi nel Mediterraneo.
Si deve alla colonizzazione araba il trasferimento della coltivazione del riso dall’Egitto alla Spagna, probabilmente poco dopo il 1000 d.C. Il riso era conosciuto in Italia molto prima che ne iniziasse la coltivazione, perchè era considerato una spezia ed era venduto per scopi terapeutici.
Qualche traccia della presenza del riso in Italia si trova già in documenti del 1390, però non è chiaro a chi si deve l’introduzione di questo cereale nella penisola. Nel 1468 fu inaugurata la prima risaia, mentre il primo documento che dimostra la coltivazione del riso in Italia risale al 1475 ed è una lettera di Galeazzo Maria Sforza, il quale prometteva di inviare dodici sacchi di riso al Duca di Ferrara.
Con l’avvio della coltivazione in Lombardia il riso, da prodotto di uso esclusivo degli speziali, divenne un elemento dell’alimentazione dei Lombardi. Dalla Lombardia la coltivazione del riso si estese con rapidità a tutte le zone paludose della Pianura Padana. A tale diffusione seguì però un aumento dei casi di malaria e furono molti i provvedimenti che cercarono di limitarne la coltivazione in prossimità degli abitati. Nonostante i divieti, la coltivazione del riso continuò ad espandersi perchè la sua resa e il conseguente guadagno, rispetto ai cereali tradizionali .
Dalla Pianura Padana la coltivazione del riso si diffuse anche in Emilia e in Toscana, dove però la penetrazione fu più lenta a causa della minore disponibilità di acqua da destinare al nuovo cereale. Alla fine del XVII secolo il riso si coltivava ormai largamente nella pianura del Po, in Toscana ed in qualche area della Calabria e della Sicilia. Nel 1700 le risaie del territorio milanese coprivano una superficie di oltre 20.000 ettari, mentre un secolo e mezzo dopo le sole risaie del vercellese raggiungevano i 30.000 ettari. Testo tratto da : http://www.beniculturali.it/alimentazione/sezioni/origini/articoli/riso.html
Nella buona stagione, e cioè a cominciare da fine maggio,
sino alla fine di giugno, si formavano in paese, o anche in collaborazione con altri paesi, squadre ad trapiantin.
Questa figura tipica di lavoratore, che potevasi lontanamente paragonare al piantatore di caffé delle Americhe di altri tempi, fungeva da piantatore di riso nella Bassa vercellese. Di diverso aveva soltanto l’acqua, e cioé il riso veniva piantato nella risaia allagata
La Rice Art è la nuova invenzione di Greenpace
contro la produzione OGM. Enormi disegni dei campi di riso. L’idea è quella dello stivale italiano che calcia via gli Ogm. L’obiettivo è quello di proteggere il riso e l’agricoltura italiana dalla minaccia dell’ingegneria genetica nel settore agro-alimentare.
Il disegno di circa 800 metri quadrati è stato realizzato da attivisti di Greenpeace in un campo di riso di un’azienda convertita al biologico da ormai 20 anni, e compresa nel territorio del Parco del Ticino. L’attività di Greenpeace si è svolta con l’appoggio del Parco. A livello europeo presto si dovrà votare per l’autorizzazione all’importazione del riso Ogm della Bayer (LL62), modificato per resistere a un erbicida tossico, il glufosinato che, come segnala Greenpeace, è considerato pericoloso per gli esseri umani e per l’ambiente tanto da essere presto vietato in Europa.
 
IL RISO IN VERSI 
Del riso a noi c’importa poco e niente.
Sappiamo che proviene dall’oriente,
ma il risotto, che tutto il mondo ammalia,
è nato qui da noi: proprio in Italia.
 
Cucinalo per bene, il tuo risotto.
Giralo, che se no si attacca sotto.
Abbi cura che sia compatto e sodo,
altrimenti – che orrore! – è riso in brodo.
Controlla. La forchetta non sta in piedi?
Allora non è denso quanto credi!
Carnaroli, Vialone, Arboreo, Baldo
ti daranno un risotto bello saldo.
 
Assaggia: non è crudo, ti par cotto?
Se c’avevi un problema, è già risotto!
LA PREPARAZIONE DEL RISOTTO a cura di ITALIA DI GUSTARE
Cuocere il risotto:
L’origine del risotto è assai modesta e legata ai ritmi della vita contadina e, nonostante ciò, la sua preparazione è abbastanza elaborata. Il risotto è un’avventura gastronomica che comincia con un soffritto, prosegue con la tostatura del riso (e degli eventuali ingredienti aggiunti) e procede con la graduale aggiunta del brodo: un mestolo ogni volta che la quantità versata in precedenza è stata assorbita. Il risotto deve quindi cuocere per 15-18 minuti nel brodo aggiunto poco alla volta ma, in alcune ricette e in determinate zone d’Italia, questo può essere versato tutto all’inizio. In questo modo le massaie di una volta potevano porre la pentola accanto alle braci e, rimestando dolcemente, lasciare che il riso cuocesse lentamente, insaporendosi a dovere. E’ il caso della cottura tradizionale del Risotto alla pilota – da “piloti”, come venivano chiamati gli operai addetti alla pilatura del riso, piatto tipico della fascia di Pianura Padana al confine tra le provincie di Mantova e Verona, zona di produzione del celebre Vialone nano. 
Il soffritto:
Il soffritto “l’arte di soffriggere si apprende più con la pratica che con la teoria; a ogni modo qui di seguito forniamo le indicazioni di base mirate alla specifica preparazione del soffritto per il risotto. La scelta tra cipolla, scalogno e aglio deve essere compiuta sulla base degli ingredienti che si uniranno al riso nella ricetta: la cipolla ha un sapore più delicato, l’aglio è più deciso e lo scalogno è intermedio tra i due. Identificato l’aroma più adatto, procedete a un’accurata mondatura e poi affettatelo a velo o tritatelo più o meno finemente: quanto più minute sono le parti, più intenso è il profumo iniziale; un trito più grossolano profuma meno ma il gusto rimane più persistente nel risotto. Per quanto riguarda invece l’uso di burro oppure d’olio, non orientatevi solamente considerando l’armonia dei sapori, ma valutate anche l’aspetto dietetico. Il burro deve essere gustoso compatto, di colore caldo. L’olio va scelto tra quelli extravergine d’oliva, con particolare predilezione per la spremitura a freddo. Il grasso per il quale avete optato deve formare un velo uniforme sul fondo del tegame. La verdura (cipolla, scalogno, o aglio) va messa quando la base è ben calda e la fiamma deve essere dolcissima. Il trito deve imbiondire lentamente fino ad appassire completamente: in questo modo le asprezze del sapore sfumano.
La tostatura: 
Il riso più indicato per il risotto è il superfìno, che ha chicchi grossi e allungati, e va tostato nel soffritto. In questa fase è necessario mescolare con energia per far sì che tutti i chicchi si tostino in maniera uniforme. L’operazione può considerarsi terminata quando i chicchi sono quasi trasparenti con alcuni punti imbruniti. Il profumo che sprigiona è intenso e caratteristico e, con un poco d’esperienza, diventa presto riconoscibile.La cottura degli ingredienti e il vino:Spesso il riso va tostato con altri ingredienti: aggiungerli secondo: tempi e i modi indicati di volta in volta nelle ricette e prestare attenzione a non eccedere nella precottura. Quando anche questi ingredienti sono pronti, bagnare il tutto con il vino, scelto tra il bianco secco o il rosso corposo e, per qualche istante, alzare leggermente la fiamma, così che la componente alcolica svapori.
Il brodo:
Dopo il vino si passa all’aggiunta del brodo. La qualità del brodo è determinante, e la scelta tra brodo vegetale e di carne o di pesce è affidata all’armonia dei sapori della ricetta e al gusto di chi cucina. Il brodo di carne è più saporito se preparato con un assortimento di carni diverse: bovina, di pollo e magari di coniglio, senza dimenticare le verdure (carota, cipolla e sedano) e i sapori (alloro, chiodi di garofano ecc.). Prima di utilizzare A brodo, sgrassarlo e schiumarlo. Il brodo di verdura ammette un più vasto assortimento nella combinazione dei suoi ingredienti, ma consigliamo di evitare i sapori dominanti come 2 cavolfiore, o antagonisti come 2 finocchio, mentre più appetibile è il gusto di patate, carote, cipolle, sedano, asparagi, spinaci, verza, broccoli, porri e altri. In alcune delle ricette che impiegano pesce, sono descritte le operazioni necessarie per ottenere il fumetto di pesce, ma è possibile utilizzare anche brodo vegetale o di pollo. Non salare il brodo: la sapidità si aggiusta a fine cottura con sale marino integrale.
La mantecatura:
la fase che dà il tocco finale al gusto. Mantecare significa aggiungere burro (oppure olio extravergine d’oliva) e formaggio (parmigiano o altro formaggio stagionato), mescolare e poi lasciare riposare a fiamma spenta coprendo la pentola con un panno ripiegato affinché questo assorba il vapore acqueo che potrebbe bagnare il risotto. In questa fase i sapori si amalgamano, il riso si gonfia e la cottura è ultimata. Il formaggio va grattugiato di fresco: un sapore stantio rovinerebbe irrimediabilmente il migliore dei risotti. Non abbiamo dato indicazioni precise (a parte casi particolari) sulla dose di formaggio: questa varia secondo il gusto e le scelte dietetiche di chi cucina. Bisogna comunque cercare di non esagerare, perché il gusto sapido del formaggio stagionato non prevarichi gli altri. I meno esperti siano quindi attenti a non utilizzare più di 60 g di parmigiano su una dose di riso per quattro persone (300-350 g). Gli altri condimenti vanno usati con equilibrio: il loro sapore non deve prevalere sugli altri, né modificare la consistenza del risotto rendendolo troppo bagnato. 
I trucchi per un buon risotto:
Come tutte le ricette tradizionali, anche il risotto ha i suoi segreti e vale la pena di conoscerne almeno i principali. E’ da preferire riso proveniente da coltivazione biologica e, prima di utilizzarlo, mondarlo: eliminare i chicchi rovinati e le eventuali impurità. C’è chi consiglia l’uso della pentola di rame (meglio se vecchia e ricoperta di nero fumo che aiuta la diffusione uniforme del calore); altri si limitano a consigliare una casseruola inox più larga che alta e con fondo triplo; c’è chi, infine, predilige l’uso di un’ampia padella da mettere sul fuoco su una retina frangifiamma. Qualsiasi sia la pentola che si decide di utilizzare, rimestare il riso cm un cucchiaio di legno e sempre dal centro verso i bordi: A risotto, infatti, tende a cuocere più velocemente nell’area esterna del tegame.

 

Il servizio:
 Il risotto deve essere subito servito in tavola, ben caldo e appena prepa- rato: questo piatto non tollera di essere successivamente riscaldato. ‘In tavola non dovrebbe mai mancare il formaggio usato per mantecáre, in modo che i commensali se ne possano servire a piacere. Gli avanzi del risotto possono essere adoprati per arricchire la vostra ricetta preferita di polpette o per farne arancini, ma possono anche essere raccolti a que- nelle (ovvero stretti tra due cucchiai), passati in una leggera impanatura e fritti in abbondante olio ben caldo. Buon appetito
Fonte:Le Roy
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