La favola del pifferaio magico
È una favola che non inizia con il canonico “c’era una volta” e non è ambientata in un “reame lontano”, ma in un luogo reale e in un tempo preciso. Non ci sono streghe, né draghi o orchi, neanche fate o lupi cattivi. Una favola che ancora oggi incuriosisce filologi e letterati per la dovizia di particolari e la trama così diversa dalla tradizione favolistica: “Il pifferaio magico”. Dove, in questo racconto dagli oscuri significati, termina l’immaginazione e comincia la realtà? Come andarono realmente le cose? Chi era il misterioso pifferaio? Che fine fecero i bambini che incantò con il suo flauto? Perché il racconto originale parlava di bambini, che solo in una versione successiva furono sostituiti dai topi. Sono risposte da cercare in un viaggio a ritroso nel tempo, in quel Medioevo lontano e misterioso in cui le piaghe sociali si susseguivano: epidemie, pedofilia, miseria e immigrazione: mostri peggiori dei draghi, delle streghe e degli orchi. La versione più diffusa del pifferaio magico cominciò a circolare poco tempo dopo i fatti narrati, con molti particolari e persino date, a differenza di altre favole famose.

A renderla immortale furono poi i fratelli Grimm, ma anche altri autori come Robert Browning e Johann Wolfgang von Goethe scrissero del misterioso pifferaio. L’invasione dei topi di Hamelin Tutto iniziò nell’anno 1284, per alcune versioni nel 1316, quando la città di Hamelin, nella Bassa Sassonia, Germania, si ritrovò invasa dai topi. La popolazione provò ogni genere di rimedio, ma i topi aumentavano a dismisura, spuntando da ogni casa, fienile, bottega e mulino, consumando scorte e portando infezioni. Un giorno, nella cittadina arrivò un pifferaio dall’aspetto bizzarro, con un alto capello e vestito con un abito multicolore. Costui promise al borgomastro di liberare Hamelin dai topi in cambio di un adeguato compenso di ben 1.000 piastre d’argento. Dopo aver ottenuto l’assenso alla sua richiesta, l’uomo prese il suo piffero e iniziò a suonare. Subito, attirati dalle sue note, i topi uscirono dai loro anfratti e presero a seguirlo, sempre più numerosi, a frotte.
Con quel seguito nero e peloso, il pifferaio uscì di città e arrivò fino al fiume Weser, dove i topi, come ipnotizzati dal suo flauto, si buttarono tutti in acqua, annegando. La popolazione di Hamelin esultò e festeggiò la liberazione dai ratti. A parte sorrisi e ringraziamenti, però, il pifferaio non ricevette alcun compenso perché nessuno volle versare la sua quota al borgomastro che aveva promesso la ricompensa. L’uomo lasciò la città, scuro in volto e rimuginando propositi di vendetta. Trascorse qualche giorno e venne la festività dei Santi Pietro e Paolo, giorno in cui gli adulti si recarono in chiesa per la cerimonia religiosa, e fu in quella occasione che riapparve il pifferaio, o secondo altre versioni fu all’alba, quando tutti dormivano. Questa volta indossava un abito verde e percorreva le vie della città suonando il piffero. Dietro di lui, questa volta, camminavano i bambini, ammaliati da quelle note: una fila sempre più numerosa di bambini. Tutti i bambini di Hamelin, 130, seguivano il pifferaio danzando finché questi non si fermò davanti all’antro di una caverna, dove entrarono tutti, a parte tre, prima che la caverna si chiudesse alle loro spalle.
I tre piccoli che si salvarono, uno zoppo, uno cieco e uno sordo, che essendosi attardati non avevano raggiunto in tempo la grotta, in un’altra versione a salvarsi fu solo il bambino zoppo, rientrarono in città per raccontare ciò che era accaduto, gettando l’intero villaggio nella disperazione. Così termina la favola. Ma è davvero solo un racconto per bambini insonni? O invece, come ritengono diversi studiosi, potrebbe trattarsi di un fatto di cronaca romanzato e tramandato di generazione in generazione? Questa ipotesi sarebbe confermata da tracce concrete rimaste nel corso dei secoli? “Nell’anno 1556, 272 anni dopo che il mago condusse 130 bambini fuori della città, questa porta fu eretta”. Così recita l’iscrizione su una pietra della vecchia porta di Hamelin, oggi conservata nel museo cittadino. Molte altre incisioni, riferite alla favola del pifferaio magico, sono disseminate su antichi palazzi e monumenti di quella città. Ancora oggi, poi, è in vigore una sorta di consuetudine che vieta di suonare e cantare in una vecchia stradina di Hamelin.
La più antica testimonianza dei fatti narrati nella favola risale al XIV secolo e si trovava sulla vetrata di una vecchia chiesa di Hamelin, distrutta intorno al 1600. Esiste però un acquerello del 1592 che raffigura la vetrata: rappresenta l’immagine di un uomo in abiti colorati e circondato da bambini vestiti di bianco. Il primo testo scritto che cita la leggenda del pifferaio risale al 1384 e parla del luogo in cui sarebbero stati portati i bambini, che gli studiosi pensano possa trattarsi dell’odierna cittadina di Coppenbrugge, nella Bassa Sassonia. Testo che conferma anche la data in cui sarebbero accaduti i fatti narrati dalla favola, ossia il 26 Giugno del 1284. Si tratta di un’allegoria che rappresentava la peste? Ma se davvero, come molti filologi ritengono, dietro quel racconto ci sia un fatto di cronaca avvenuto in una data precisa, ancora oggi non è chiaro di quale tragico evento possa essere stato protagonista il misterioso pifferaio comparso e scomparso lasciando dietro di sé lutti e disperazione. Per alcuni potrebbe trattarsi della peste, trasmessa proprio dalle pulci dei topi.
Nel Medioevo, la peste era un incubo che non risparmiava nessuno, nemmeno i bambini. Va però considerato che la grande epidemia di peste colpì l’Europa nel 1348, quindi più di mezzo secolo dopo quel 1284 in cui è ambientata la favola. L’ipotesi della peste resterebbe però in piedi se, come ritengono alcuni studiosi, la data riportata dalla favola sarebbe di comodo. Un falso dovuto alla superstizione del Medioevo, quando riferire la data precisa dell’epidemia poteva non solo “chiamare” la peste, ma portare all’accusa di untore. Secondo altri, invece, il pifferaio rappresenterebbe i monatti, quelle figure incaricate di portare i morti fuori dalla città, munite di flauti e con vestiti sgargianti in modo da essere riconosciuti ed evitati dalla popolazione per evitare il contagio. Altri invece ritengono che il pifferaio in realtà simboleggiasse la stessa morte per peste, giunta in città a portare via i bambini: in tal caso il ballo dei piccoli nel seguire il pifferaio sarebbe l’allegoria della celebre “danza macabra”, la raffigurazione della danza tra uomini e scheletri durante la peste nera, simbolo della morte che colpisce ogni ceto sociale. Ma neanche l’ipotesi della peste convince appieno, perché i topi, che sarebbero la causa principale della peste, compaiono in seguito, non prima del 1565. Come se fossero stati aggiunti successivamente, per attribuire alla favola una morale, quella di mantenere le promesse e pagare i debiti.
In ragione di questo cambiamento sono state così avanzate molte altre teorie. Qualcuno ritiene che i bambini siano morti dopo essere stati arruolati in qualche tragica avventura, forse addirittura la tristemente nota crociata dei fanciulli del 1212. Altri, basandosi sul fatto che nella favola i bambini danzassero nel seguire il pifferaio, sostengono invece che tutto abbia avuto origine da un’epidemia del morbo di Sydenham, conosciuto anche come “Ballo di San Vito”. Si tratta di una malattia caratterizzata da contrazioni, spasmi e movimenti involontari, che colpisce soprattutto i ragazzi tra i 5 e i 15 anni. Altri ancora pensano che la favola nasconda un episodio di pedofilia, con protagonista un barone della regione che avrebbe fatto sparire un gran numero di bambini. A queste teorie si aggiunge un’altra ipotesi, basata su fatti storici, cioè la colonizzazione di nuove terre nell’Europa dell’est, che avrebbe coinvolto soprattutto i giovanissimi. Infatti, nella seconda metà del XIII secolo il vescovo Bruno di Olmutz si impegnò attivamente nella costruzione di borghi e villaggi in Moravia, attuale Repubblica Ceca, in Polonia e nelle zone Baltiche, da poco conquistate dai tedeschi. Ad avvalorare questa ipotesi ci sarebbe il grande aumento demografico registratosi in quei territori fra XIII-XIV secolo.
L’ipotesi della migrazione è sostenuta da un gruppo di docenti di onomastica dell’università di Lipsia: essi affermano che il vescovo di Olmutz avrebbe incaricato alcuni uomini di reclutare giovani coloni, per colonizzare le nuove terre a Est. Tutto ciò sarebbe provato da alcuni documenti, secondo i quali Hamelin nella seconda metà del XIII secolo soffriva di un drammatico sovrappopolamento. Inoltre, diversi villaggi e cittadine ubicate nell’Est della Germania presentano ancora oggi cognomi e toponimi uguali a quelli diffusi nella regione di Hamelin. Se l’ipotesi della migrazione fosse valida, il pifferaio della favola non solo rappresenterebbe quei reclutatori di giovani coloni, ma avrebbe anche caratteristiche positive: infatti, nel Medioevo la sovrappopolazione era spesso un dramma per i piccoli centri e chi liberava da questo flagello era visto come un benefattore. E se la verità fosse un’altra ancora? Se la figura del pifferaio non fosse un’allegoria, ma celasse l’identità di un personaggio davvero esistito? È ciò che emerge da un saggio di Walter Isaacs del 1912, dove si cita l’esistenza di un pittore e musicista girovago del XII secolo: Jacob Kreutzer. Il quale aveva fama di straordinario ritrattista, al punto da essere molto richiesto dalle facoltose famiglie.
Kreutzer, però, aveva una particolarità alquanto singolare, per non dire inquietante: non chiedeva mai compensi in denaro per i suoi lavori. I committenti dovevano dargli in cambio tre bambini dai dieci anni in giù. I piccoli erano spesso trovatelli, o comprati in famiglie poverissime dai ricchi clienti di Kreutzer. L’aspetto più inquietante, che richiama in modo macabro la favola del pifferaio magico, riguarda la melodia che il pittore suonava col suo flauto mentre era seguito dai bambini che gli erano stati affidati. Sulla personalità di questo misterioso pittore sono state fatte varie ipotesi: un “mostro” come Gilles de Rais? Un bieco commerciante di schiavi? Un uomo incaricato di fornire bambini a famiglie nobili senza discendenti? Un iniziato di qualche setta sacrificale? O forse una figura mai esistita a cui il Medioevo ha attribuito un’aura magica, come il celebre dottor Faust o il Mago Merlino. Walter Isaacs era comunque era convinto che fu proprio Jacob Kreutzer a ispirare il misterioso pifferaio di Hamelin. Dopo tanti secoli, nella città attuale Hamelin tutto ancora parla del pifferaio magico, con strade, piazze, alberghi e negozi, che rievocano ogni domenica l’antica favola che non smette di esercitare il suo fascino sinistro e che ha dato fama imperitura alla vivace località di 60.000 abitanti situata nella Bassa Sassonia. Secondo una versione alternativa, la favola del pifferaio magico avrebbe un lieto fine, con l’uomo che, pagato dai cittadini di Hamelin, restituisce i bambini alla città. Vi è tuttavia anche un finale differente e meno conosciuto: il pifferaio e i bambini, dopo essere entrati nella caverna, avrebbero camminato a lungo sottoterra, sbucando infine in Transilvania. Questa versione deriverebbe dall’esistenza di una comunità sassone nei Carpazi, risalente ai decenni successivi all’invasione mongola dell’Est Europa (XIII secolo).
Coloni tedeschi furono incoraggiati dai re ungheresi a raggiungere l’Est, dopo lo spopolamento per le guerre mongole. I sassoni di Transilvania abitarono questi luoghi per molti secoli, prima come sudditi dell’Ungheria, poi dell’Austria, fino alla Seconda guerra mondiale con il ritorno in Germania, dopo l’annessione di quelle terre alla Romania. Davvero la favola del pifferaio magico sarebbe l’allegoria di questa colonizzazione tedesca nei Carpazi? In realtà, molti filologi sono scettici, in quanto il finale alternativo della favola riguardante la Transilvania sarebbe frutto di tradizioni molto successive al racconto.
