La Basilicata ospiterà quest’anno una particolare mostra personale (anzi 4) di alcune opere di Eva Fischer. Si tratta di una mostra diffusa intitolata “La strada lucana dei colori”, ove saranno esposte, nelle sale del Comune di Potenza ed in quelle di Ruoti, Avigliano e Muro Lucano, più di 70 opere litografiche e di incisioni della famosa pittrice italiana ma anche mitteleuropea, venuta a mancare a Roma nel 2015, a quasi 95 anni di età. Si è voluto creare così un particolare percorso culturale immerso nella provincia di Potenza e per questo si parla di mostra diffusa, dove le opere di Eva Fischer, per la prima volta esposte in Basilicata dopo i successi in oltre il centinaio di personali in giro per il mondo, avranno il loro delinearsi in quattro diversi luoghi significati della Lucania.
Felice Faraone, Assessore alla cultura del Comune di Ruoti, Felice Faraone, e Alan Davìd Baumann, responsabile di ABEF, hanno introdotto l’evento durante una conferenza stampa online lo scorso 13 luglio.
Il primo vernissage si terrà alle ore 18.00 del 5 agosto 2023, presso gli spazi della Chiesa del Rosario di Ruoti. Assieme alla Fischer, per scelta dell’Archivio Baumann e Fischer “ABEF”, verranno esposte anche le opere di un artista ruotese, Gennarino Sileo, grande amico e medico della famiglia di Eva, ma nello stesso tempo e ad insaputa perfino di molti ruotesi, validissimo e particolarissimo pittore. Le opere di Sileo sono di proprietà della nascente “Eva Fischer Foundation”.
Seguirà alle ore 11.00 del 6 agosto, l’inaugurazione presso il Chiostro Palazzo di Città di Avigliano.
Il vernissage del 7 agosto (ore 18.00), presso il Palazzo della Cultura e Turismo di Potenza, sarà un prorogo della mostra di olii della Fischer sulla Shoah, che si terrà nel Giorno della Memoria del 2024.
Il quarto vernissage avrà inizio alle ore 11.30 dell’8 agosto, nella nuova sede UNITRE di Muro Lucano.
Litografie ed Incisioni, spesso erroneamente confuse come semplici “fotocopie”, sono invece il frutto di duri lavori. Quasi tutta l’opera della Fischer verrà esposta in quest’occasione.
La mostra diffusa di Eva Fischer “La strada lucana dei colori”, si terrà dal 5 al 20 agosto 2023 ed è stata patrocinata dai Comuni di Potenza, Ruoti, Avigliano e Muro Lucano nonché da “ABEF – archivio baumann e fischer”. Hanno inoltre dato il loro patrocinio morale la Regione Basilicata e la APT Basilicata.
RUOTI
- Vernissage 5 AGOSTO 2023
- Chiesa del Rosario – ore 18,00
- Orari: matt. 9.30 – 13.00 – pom. 18.00 – 20.30
AVIGLIANO
- Vernissage 6 AGOSTO 2023
- Chiosco Palazzo di Città – ore 11,00
- Orari: matt. 9.30 – 13.00 – pom. 16.00 – 19.00 (martedì e giovedì)
POTENZA
- Vernissage 7 AGOSTO
- Palazzo della Cultura e Turismo – ore 18,00
- Orari: matt. 9.30 – 13.00 – pom. 16.00 – 19.00
MURO LUCANO
- Vernissage 8 AGOSTO 2023
- Nuova sede UNITRE – ore 11,30
- Orari: matt. 10.30 – 13.00 – pom. 18.00 – 20.30
Maggiori informazioni su www.evaifscher.com – www.evafischere.foundation
Il volume sulle litografie e le incisioni di Eva Fischer, può essere acquistato a questo link: https://www.amazon.it/dp/8898408889/ref=cm_sw_r_apan_dp_2BSYK21N2R0140TQXS3W
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Di lei così scriveva Carlo Levi:
“Eva Fischer la conosco, si potrebbe dire, da sempre: è infatti una figura sempre esistita nel suo aspetto permanente, nel suo nobile consistere attuale di una tradizione secolare.
Ma, nella realtà storica e geografica, è apparsa a Roma nell’immediato dopoguerra (in quel tempo gremito, tutto pieno, dell’«Orologio», dove le cose non si svolgevano, ma apparivano subitanee, come vere apparizioni, o con il moto istantaneo degli angeli). Il «Re degli Amici», l’Osteria di via della Croce, era appunto uno dei più fitti ritrovi di queste apparizioni, che si sedevano ai tavoli avvolti da una sorta di natura comune, di amicizia naturale come diffusa nell’aria, e parlavano di cose tutte importanti, e guardavano il mondo come fosse nato e cominciato allora. Ogni sorta di gente illustre e sconosciuta imparavano a darsi con naturalezza del tu, a discutere con passione senza sapere neppure chi fosse l’interlocutore.
C’erano ministri novizi, e politici, e artisti, e ignoti di ogni qualità, accanto alla prostituta con suo incedere di legno, tac tac, con la spietatezza del metronomo, e a Fortunatto che cantava: «lo non songo fortunato / perché songo disgrazziato / a che son nato» con la violenta sguaiataggine di una maschera popolare; ai soldati e ufficiali polacchi di Anders pieni di croci e di santini, agli operai della vicina tipografia, e ai giornalisti, ai borsari neri, ai partigiani scesi dal nord, e a gente che si era creduta morta, e a chi era rinato per tornare forse a morire, e a tanti, raccolti attorno al vino venuti qui «da spaventosi esilii», in una atmosfera comune, vitale, fisica, giovanile, attiva e a suo modo amorosa.
Eva Fischer comparve allora per la prima volta con la madre, che le è identica. Anche lei come tanti altri approdava da un mare oscuro, veniva da un suo spaventoso esilio. Il padre non ne era tornato: scomparso, ucciso in non si seppe mai quale dei Lager tedeschi.
Eva, jugoslava di nascita, in una zona di frontiera (forse per questo la pensavo sempre rumena), dopo gli anni dello studio della pittura in Francia, riparata con la madre in Italia, internata con lei nell’isola di Curzola, poi nascosta a Bologna, era giunta, con la Liberazione, a Roma, dove rimase poi sempre.
Aveva allora, come ora, un viso dolce e oscuro e nell’ombra folta dei capelli appena un po’ crespi; e due occhi di nera, quasi invisibile fiamma, come le braci nascoste e custodite nelle chiuse stanze dopo il coprifuoco dei ghetti, e un sorriso gentile come un ricordo viennese, di graziosa compostezza austroungarica.
A Roma, come tanti altri allora, era rinata, dopo l’atroce medioevo della guerra razzista. Era rinata, ma si era portata dietro tutta una eredità secolare e recente: la sua educazione mitteleuropa, i suoi studi francesi, le prove della servitù e della morte, e la fedeltà indistruttibile del popolo ebraico nella sua dispersione e nella sua difesa attraverso le generazioni, nella sua finale speranza.
A questa esperienza composita e così ricca e diversa cominciò ad aggiungersi, come dato ultimo e presente, una altra esperienza altrettanto ricca e composita, quella italiana e in particolare romana; in quel tempo in cui Roma pareva aver rotto tutte le limitazioni e dare forme nuove e popolari al suo passato onnicomprensivo.
E poiché il destino di Eva Fischer, il suo modo di espressione, era la pittura, nelle sue opere tutti questi elementi, i precedenti e via via i più recenti, andarono naturalmente riunendosi e fondendosi, trovando le loro somiglianze e risolvendo i problemi delle loro diversità.
Sia che si trattasse di quadri o di opere grafiche, di invenzioni di colore o di linea di disegno, questi vari elementi o tradizioni o filoni o eredità o scoperte sono tuttavia riconoscibili, anche nella raggiunta fusione unitaria.
Se consideriamo, ad esempio, i paesaggi di Capri, splendenti di colore mediterraneo nelle loro architetture solari, non potremo non ritrovare anche qui, in qualche modo supposto, il villaggio ebraico, la sua intimità malinconica e fantastica, e l’ombra miracolosa delle leggende chassidiche, senza che i due momenti, i due contenuti, si contraddicano.
Certo, in tutta la sua opera, da quegli inizi del dopoguerra fino ad oggi, gli elementi fondamentali sono rimasti (senza dimenticare le esperienze francesi e mitteleuropee) questi due: quello ebraico orientale e quello classico romano. Li si ritrova chiaramente, a mio avviso, anche nelle opere grafiche recenti: nelle cinque incisioni (acqueforti e acquetinte) di questa cartella, scelta fra le molte di pari valore di una produzione abbondantissima.
In tutte, in una forma semplice (che può far ricordare proprio la grafica romana neoclassica e popolare del primo ottocento) i personaggi sono operai, artigiani, poveri, lavoratori o oziosi, con oggetti di lavoroo di mestiere, o calati nel riposo della luce romana, e della descrizione precisa della loro condizione, tutta sempre, nella sua antichità, presente e nel presente. E tuttavia c’è qualcosa d’altro e di fondamentale, che li porta e li situa altrove, in un mondo che presuppone un altro mondo, e che in ogni momento, anche senza rendersene conto, lo aspetta. Che cosa aspetta, appoggiato alla mano, il giovane con la bicicletta? O quello che forse sogna, dell’«interno con figura»? O quello che guarda «le caldarroste»? O quello che tiene «la mimosa»? O il bambino e i! vecchio della «sosta»? Tutti con profonda tristezza e pericolante speranza, dietro le lunghe ciglia abbassate, aspettano qualcosa d’altro, qualcosa che non sta nella vicenda quotidiana. È una attesa messianica, affidata ai semplici, presente nelle cose, negli atteggiamenti, nei volti.
Sono, questi personaggi di Eva Fischer, piuttosto romani, o piuttosto ebraici, o l’uno e l’altro insieme? L’attesa trova in loro una risposta scettica, o una speranza finale? O i due atteggiamenti, che parrebbero contraddittori, non sono che i due momenti alterni (entrambi nati dalla ricchezza sterminata di due diverse esperienze storiche) del battere antico del cuore? Essi non agiscono, non si muovono né si atteggiano: forse l’attesa non è che ricordo, in un tempo che ha già tutto compreso”.