CTCF MARTIN SCORSESE
Il premio Oscar Martin Scorsese ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa sul NOVE, commenta così il suo ultimo film “Killers of the Flower Moon” candidato a 10 premi Oscar, una storia che ruota attorno ai concetti del bene, del male e del peccato:
Io credo che sia stato proprio questo che mi ha portato a sviluppare questa trama: in effetti all’inizio è un adattamento del libro di David Grann che di fatto racconta quella che sarebbe diventata l’FBI, che ha cercato di capire chi avesse perpetrato questo atto e in effetti si chiarì immediatamente che non era tanto chi aveva fatto una cosa, ma chi non aveva fatto nulla per evitare che accadesse. Quindi un problema della società, dell’intero gruppo… In ultima analisi abbiamo capito che il modo migliore per raccontare questa storia era attraverso Mollie ed Ernest, Mollie che è Lily Gladstone ed Ernest che è Leo DiCaprio, perché di fatto si sposano ed è davvero una storia d’amore questa, una storia d’amore dove il marito, Leo DiCaprio, è decisamente uno che cerca di avvelenare lei e di distruggere il resto della sua famiglia. Praticamente riflette il macrocosmo di quello che è accaduto agli indiani d’America. Tutto si basa sulla realtà della storia di Mollie ed Ernest Burkhart che si amavano.: la famiglia esiste ancora, la sua bisnipote ci ha raccontato la storia di Mollie e ci ha detto di ricordarci che si amavano”.
 
Sulla storia degli Osage e il rapporto con gli americani: “Abbiamo scelto di raccontare questa storia proprio attraverso una coppia che si amava, però allo stesso tempo lui distrugge la sua famiglia. Bisogna ricordare una cosa: la tribù degli Osage si è arricchita decisamente di più di tutta la maggioranza degli americani; infatti, c’è stato molto risentimento da parte degli americani non solo dal punto di vista culturale e razziale, ma, da un certo punto di vista, gli ex-europei di fatto avevano la sensazione che non si meritassero quella ricchezza, perché veniva dalla terra e non da loro. Pensavano: perché la grazia di Dio su questa gente, quando non hanno mai lavorato? Allora naturalmente hanno cercato di controllare questa cosa perché avevano la sensazione che i nativi americani non capissero il valore del denaro e, da un certo punto di vista, il mondo capitalista e il modo di trattare il denaro. Quindi li hanno messi sotto tutela e controllavano tutto. Di fatto c’era anche un costo per tutto questo; 150 dei 200 dollari, che era la tassa che dovevano pagare, venivano dati a chi li teneva sotto tutela: era un modo per americanizzare i nativi americani
Sull’incontro con Papa Francesco: “Abbiamo parlato del senso e della natura di ciò che noi siamo, di noi esseri umani, del bene e del male che c’è in noi, che sono presenti in tutti noi e di come dovremmo vivere la nostra vita al meglio, nonostante le pressioni della vita di tutti i giorni. In una certa misura, come è possibile fare questo attraverso la creazione di qualcosa che sia per esempio un dipinto, un romanzo, una musica o un film. Come questo può avere di fatto un effetto buono sul pubblico, invece che predicare renderli partecipi alla storia. Per esempio, parliamo del bene e del male e della loro natura, però facciamoli pensare quanto più possibile”.
Sulla compresenza di Robert De Niro e Leonardo DiCaprio nel film: “È stato davvero emozionante proprio perché Robert De Niro mi ha presentato Leonardo DiCaprio dopo This Boy’s Life (Voglia di ricominciare), un film nel quale avevano lavorato insieme. Leo aveva 16 anni e Robert mi ha detto: ‘Un giorno devi lavorare con questo ragazzo perché è bravissimo’. In effetti è quello che è accaduto anche in questo film. Vedete che c’è un rapporto padre-figlio fra di loro: c’è il mentore e lo studente, è un rapporto di questo genere. Secondo me è meraviglioso, in particolare questa scena che avete appena mostrato è unica, perché non mi sono neanche reso conto come quella scena in auto avrebbe sortito un risultato, ma l’abbiamo capito man mano che la giravamo, come lui avrebbe convinto Leo in questa scena. Ecco, abbiamo messo insieme il film in questo modo, davvero c’è fiducia reciproca fra De Niro e Leo e certamente anche con Lily”.
Il rapporto di Scorsese con De Niro e DiCaprio: “Credo che De Niro e io abbiamo praticamente la stessa età, 80 anni; quindi, tendiamo a essere un po’ più tranquilli e riflessivi. Mentre Leo è decisamente più giovane ed entusiasta adesso. Con De Niro parliamo tranquillamente, magari parliamo di meno, magari di certe scene… ma non tanto. A Leo piace provare, ma quando dico provare intendo una discussione che va avanti, avanti e non finisce mai, tutti i giorni. Lui fa così. Noi siamo i vecchi che stiamo lì, annuiamo e stiamo seduti, ascoltiamo e poi lavoriamo. Ma va benissimo, i due vanno d’accordo”.
Sull’infanzia a New York e l’avvicinamento al mondo del cinema: “Molto probabilmente ero giovanissimo, sono cresciuto in un luogo difficile, per strada a New York. Provenivo da un altro luogo, praticamente un’area fuori dalla città, abbiamo dovuto trasferirci, avevo 8 anni; quindi, ho visto il passaggio da una vita tranquilla e improvvisamente sono stato buttato nelle strade di New York dove c’era qualsiasi cosa, anche i pericoli, la gente era gentile ma c’erano anche i criminali e i malfattori. Un equilibrio è difficile da ottenere in mezzo a tutto questo. C’è stato un rifugio, che per me è stato la Cattedrale di San Patrizio, ho trovato rifugio lì, nel cinema che c’era lì vicino e allora ho iniziato a farmi delle domande: ‘chi siamo noi esseri umani? Di cosa siamo capaci?’ E me lo sto ancora chiedendo”.
Sui primi film che si ricorda di aver visto da bambino: “Due film: uno era in televisione, era Paisà di Rossellini, l’ho visto in tv quindi sul piccolo schermo. L’altro era un western americano, quasi un’opera: Duel in the Sun (Duello al sole) con Jennifer Jones, Gregory Peck. Un cast incredibile, un’esperienza incredibile. Mi ha colpito profondamente, avevo cinque anni”.
Sul primo incontro con Robert De Niro: “Avevamo 16 anni, per me era Bobby”.
Sullo sguardo di Di Caprio: “Di Caprio – ma anche De Niro, basta guardare il suo sguardo in Taxi Driver – ha un viso estremamente espressivo, proprio come Lily Gladstone. Hanno il viso perfetto per il cinema, perché si possono leggere sul loro viso le emozioni, tutto quello che sentono o magari uno inventa quello che sembra che loro provino. C’è un po’ di mistero dentro questo sguardo che lo rende unico. Non tutti sanno fare una cosa del genere. Io ho fatto il montaggio di tutte le inquadrature con una signora che mi ha aiutato: ‘guarda cosa fa lui, cosa fa Lily, cosa fa Bob…’. Hanno veramente una presenza naturale e sono cinema puro”.
Lo ha detto al Papa che è stato in seminario? “Non sono stato in seminario, ma in una scuola preparatoria al seminario. Avevo 15 anni, però poi mi hanno invitato ad andarmene: mi hanno buttato fuori. Ero troppo giovane e non capivo cosa fosse la vocazione, cosa fosse questa chiamata di Dio”.
Sul personaggio di Leonardo Di Caprio nel film: “C’è proprio questa paura e anche un delirio, un’illusione. Non avrebbe mai pensato che suo zio fosse ciò che è stato. Ha dei dubbi, delle ambiguità, come per esempio molte cose che facciamo noi, su cosa sia giusto… o come nel film che ho fatto Silence, c’è il personaggio di Kichijiro che ha continuato a fare cose brutte e ha continuato a chiedere perdono ma poi ha continuato a farle. Nel caso di Ernest, non crede che suo zio possa arrivare a quel punto e si illude. Uno deve ricordarsi che la storia va in questo modo: nessuno sa chi ha fatto cosa, a volta la colpa la attribuiscono a questa malattia incredibile di consunzione per la quale morivano molti. Nessuno sa veramente chi abbia ucciso e chi abbia fatto cosa. William Hale, quindi Robert De Niro, e molti di loro di fatto amavano gli Osage, gli volevano bene, erano i loro migliori amici”.
Sul fatto che lui sia una star di Tiktok: “sì è vero! È una cosa importantissima! Ma alcune di queste riprese non avrebbero dovuto essere messe su TikTok, adesso rimprovero mia figlia!”
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