TEATRO ALLA_SCALA
Teatro Alla Scala

Stagione d’Opera e Balletto 2011~2012

14, 16, 21, 23, 25 febbraio ~ 1, 4, 7, 10 marzo 2012

 

AIDA

 

Opera in quattro atti

di Giuseppe Verdi

su libretto di Antonio Ghislanzoni

(Edizioni Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano)

Prima rappresentazione: Il Cairo, Teatro dell’Opera, 24 dicembre 1871

Prima rappresentazione al Teatro alla Scala (e in Italia): 8 febbraio 1872 messa in scena da Giuseppe Verdi 

Produzione Teatro alla Scala 1963

Direttore OMER MEIR WELLBER

Regia FRANCO ZEFFIRELLI

ripresa da MARCO GANDINI

Scene e costumi LILA DE NOBILI

Coreografia VLADIMIR VASSILIEV

 

Personaggi e interpreti

 

Aida                           Oksana Dyka (14, 23 febbr.; 1, 4, 10 marzo)

                                              Liudmyla Monastyrska (16, 21, 25 febbr.; 7 marzo)

Amneris                     Marianne Cornetti (14, 16, 21, 23, 25 febbr.)

                                              Luciana D’Intino (1, 4, 7, 10 marzo)

Radames                    Jorge De Leon (14, 21, 25 febbr.; 1, 7 marzo)

                                   Stuart Neill (16, 23 febbr.; 4, 10 marzo)

Ramfis                                    Riccardo Zanellato (14, 16, 21 febbr.; 4, 7 marzo)

                                              Giacomo Prestia (23, 25 febbr.; 1, 10 marzo)

Amonasro                  Andrzej Dobber (14, 16, 25 febbr.)

                                              Ambrogio Maestri (21, 23 febbr.; 1, 4, 7, 10 marzo)

                 Il Re                            Roberto Tagliavini

              Messaggero               Enzo Peroni

             Sacerdotessa              Pretty Yende

Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala

 

Maestro del Coro BRUNO CASONI

 

Direttore del Corpo di Ballo MAKHAR VAZIEV

 

Date:

martedì 14 febbraio 2012 ore 19.30 ~ prima rappresentazione

giovedì 16 febbraio 2012 ore 19.30 ~ fuori abbonamento

martedì 21 febbraio 2012 ore 19.30 ~ fuori abbonamento

giovedì 23 febbraio 2012 ore 19.30 ~ fuori abbonamento

sabato 25 febbraio 2012 ore 19.30 ~ LaScalaUNDER30

 

giovedì 1 marzo 2012 ore 19.30 ~ fuori abbonamento

domenica 4 marzo 2012 ore 19.30 ~ turno N

mercoledì 7 marzo 2012 ore 19.30 ~ turno M

sabato 10 marzo 2012 ore 19.30 ~ turno O

Prezzi: da 187 a 12 euro

 

Infotel: 02 72 00 37 44

 

www.teatroallascala.org

Martedì 14 febbraio 2012 l’opera sarà trasmessa in diretta stereofonica da RAI Radio Tre.

Ufficio Stampa Teatro alla Scala

Via Filodrammatici 2 – 20121 Milano

Tel. 02 88 792 412 – Fax 02 88 792 331

stampa@fondazionelascala.it

www.teatroallascala.org

 

 

Aida (Note di regia)

Franco Zeffirelli

Ascoltavo l’Aida fin da bambino nelle trasmissioni radiofoniche, la vidi per la prima volta a Firenze con il teatro popolare del Carro di Tespi. Quando decisi di curare l’allestimento di quest’opera per la Scala, chiamai Lila De Nobili. Con lei avevo lavorato proprio alla Scala nel 1958 in Mignon, successivamente aveva curato le scene del Great Gala alla Royal Albert Hall di Londra, e le affidai la realizzazione delle scene. Lila mise in atto le sue meravigliose abilità di artista. Agganciata alla tradizione scenografica ottocentesca, filtrata attraverso i suoi collaudati espedienti pittorici, si impegnò giorno e notte per creare il suo capolavoro e magnificare in una cornice di ineguagliata rievocazione storica la grandiosità imperitura della terra dei faraoni. Fu la resurrezione di un mondo in una visione poetica, struggente, per gli effetti scenici, per il movimento delle masse, per le prospettive architettoniche dei fondali dipinti che rievocavano in un’onirica visione i templi nilotici, per i costumi rutilanti di ori, per quella vertigine di emozioni cui aderivo pienamente. È un mio allestimento che a distanza di mezzo secolo sopravvive e viene periodicamente riproposto con l’aura religiosa riservata a uno spettacolo di culto. Questa Aida, con le scene di Lila De Nobili, viene considerata da tutti di eccezionale valore storico.Alcuni anni fa è stata restaurata, è stato come veder rinascere dalla polvere uno dei più grandi spettacoli del secolo scorso. Io non sono facile alla commozione, ma quell’emozione era intatta. Quando si è alzato il sipario, ho rivisto un’Aida magica, conturbante e il suo segreto è che non c’è nulla di complicato: è solo l’illustrazione della musica di Verdi che prende forma…L’Aida è uno di quei capolavori che appartengono alla storia della nostra cultura, ma soprattutto è un’opera italiana, cantata nella nostra lingua. La musica della marcia trionfale è un tema universalmente conosciuto, che cantano anche i bambini, da Dallas al Niger. È l’opera più popolare del repertorio verdiano. La musica ci racconta i palpiti di questi tre giovani:Aida eAmneris sono entrambe innamorate di Radamès, un cialtroncello egiziano che dimostra di essere uno stupido, ma poi, nel finale, rivela anche quanto sia appassionato nel suo amore perAida. Questo mio allestimento è un atto d’amore per un’idea tradizionale della messinscena operistica. La sua conservazione contribuisce a realizzare il sogno di trasmettere e consegnare al mio pubblico la testimonianza del mio operato, la cifra stilistica e il denominatore comune che unisce i miei spettacoli, grazie ai quali ho potuto conquistare le platee di tutto il mondo.

Vittoria Crespi Morbio*

Lila De Nobili (1916-2002) era una donna schiva e solitaria; è difficile recuperarne un ritratto fotografico, persino una firma. Eppure è tra le pittrici-scenografe il cui segno rimane inconfondibile. Epigona della scenografia dipinta di matrice ottocentesca, in Aida (Teatro alla Scala, 1963) non si limita a riportare sulla carta il tempio di Vulcano o le rive del Nilo secondo le esigenze della rappresentazione esotica, ma va oltre. Ogni suo bozzetto è un tour de force pittorico dove il segno sfrangia e fraziona la luce, la rende pulviscolare, la irrora generosamente su qualsiasi forma, trasfigurando una scena fissa in un flusso vitale e cangiante. Ampi colonnati, scorci faraonici, sontuosi interni dettati da esigenze testuali, diventano con lei masse magnetiche, scosse da un fremito di ombre o da improvvisi bagliori, in uno scarto sempre più serrato tra tinte fredde e calde. Ogni tela rivela al suo interno un trascolorare di giorni, ore, stati d’animo che intaccano le più ieratiche presenze del repertorio illustrativo egizio. Luci e ombre smangiano i contorni, quasi a smaterializzare piramidi, obelischi, monumenti celebrativi nella scena del trionfo o, al contrario, si annidano tra i ricchi paludamenti nell’appartamento di Amneris, ridondante di incensi, tessuti, palmizi. La pennellata della De Nobili governa la pienezza e la ricchezza della forma con una naturalezza che rende familiare un ambiente tanto esotico quanto l’antico Egitto. Tale istintiva capacità di rinnovare consuete ambientazioni è supportata da un meticoloso criterio di ricerca che prende l’avvio dall’affiatamento tutto umano nei confronti del compositore, grazie al quale la scenografa conferisce carattere e omogeneità alla messa in scena, e che si appoggia sempre a una colta ricerca d’archivio. In Aida l’artista non si lascia sfuggire le tavole napoleoniche della raccolta Description de l’Égypte (Parigi, 1813 e 1826), o i disegni shakespeariani di sir John Gilbertper per Falstaff (Teatro alla Scala, 1961). Per l’ultimo capolavoro di Verdi la chiave di lettura rimanda alla matericità di una natura invasiva che abbraccia nel proprio ventre l’osteria dalle robuste pareti sostenute da tronchi di quercia, come se l’esterno si proiettasse nel rifugio do-La luce di Lila De Nobili tra Parigi e le piramidi

*Vittoria Crespi Morbio è nata a Milano. Esperta di rapporti tra arti figurative e teatro musicale, ha curato numerose mostre in Italia e all’estero e nella sua produzione saggistica si annoverano diverse monografie (Pier Luigi Pizzi, Franca Squarciapino, Ezio Frigerio, Lila De Nobili,Marcello Dudovich, Leopoldo Metlicovitz, Franco Zeffirelli, Caramba). Dirige una collana di documenti e studi teatrali e sta curando una serie di monografie dedicate a  scenografi e costumisti attivi presso il Teatro alla Scala di Milano. mestico e di conseguenza ne lambisse gli abitatori. Tale è il coinvolgimento panteistico della messa in scena da indurre la creatrice a disegnare i figurini su supporti in fibra di legno. In un primo studio pensato per La traviata (Teatro alla Scala, 1955),Violetta appare malinconicamente riversa sullo schienale di una poltrona. L’abito color notte è scheggiato dai lampi di luce riflessi dalla lampada a olio, quasi a prefigurare il disfacimento della materia. Gioia e languore, morte e follia s’intrecciano in una figura che trascende lo studio di un semplice costume, anticipandone il destino. La vittima si accomiata nel terzo atto in un’infilata di stanze dove i segni distribuiti sulle superfici sembrano arrendersi, risucchiati dalle labili pareti monocrome. Il battito del cuore riprende a palpitare nelle solide carni di Aida, sensualmente raffigurata in un abbozzo. Di primo acchito Lila De Nobili immagina la protagonista nelle sembianze di una fanciulla fresca e disinibita, immortalata col ventre scoperto, in una seducente mossa danzante. La proiezione di Aida in un ambito domestico viene presto sconfessata dal regista Franco Zeffirelli, che instrada l’amica verso un’ambientazione sontuosa di sapore Secondo Impero, da proiettarsi in ampi spazi atti a ospitare una svariata quantità di coristi, danzatori, comparse. La schiava etiope (Leontyne Price) si fa così donna, amabilmente civilizzata grazie alle vesti più parigine che nilotiche, quale alter ego esotico alla carismatica Maria Callas nella Traviata di Visconti. Nella caratterizzazione dei personaggi egizi, Lila De Nobili dà sfogo al colore: trasfigura il corpetto, le balze e la gonna della protagonista in una tavolozza nella quale gli smeraldi si sovrappongono ai bruni, gli ori invecchiati si abbinano alle sfumature color ruggine, in un impasto di tinte che emergono in una piega, spiccano a sorpresa, si lasciano intuire. La fantasiosa polifonia di consonanze cromatiche riconduce a un preciso indirizzo culturale, all’Egitto informato su fondali, quinte e spezzati, cui la stessa artista,che rifinisce le pennellate sul palcoscenico poco avanti che l’opera debutti, dona un inconfondibile amalgama, una vivificatrice patina antica. Infaticabilmente presente sul palcoscenico e in sartoria, Lila De Nobili traduce i propri bozzetti e figurini, elaborati con la valenza di opere d’arte, nella non facile messa in opera di un abito o di una scena compiuta. Nei laboratori seleziona abbinamenti di tessuti, ricerca antichi campionari di merceria, riscopre vecchi scampoli di stoffa. A ogni ora del giorno (e della notte) c’è chi la nota alle prese con la rifinitura degli scenari. La sua dimessa fisionomia dai caratteri vagamente zigani (corporatura minuta, scarmigliati capelli corvini, sguardo penetrante), finiva col fondersi tra le immense superfici delle tele, come se quella straordinaria creatura si addossasse il peso della creazione. Nata a Castagnola (Lugano) da una famiglia d’origine ungherese (il pittore Marcel Vertès è suo zio), cresciuta tra gli agi degli alberghi secondo le usanze d’inizio secolo delle famiglie aristocratiche e raminghe, l’artista è destinata ad avere tutto per poi spogliarsi di ogni cosa, in un istintivo distacco dai beni materiali. Di contro, con sempre maggiore consapevolezza la sua arte incarna il suo senso di libertà, è la cassa di risonanza di un animo generoso e coerente, sino a diventare l’appiglio col mondo esterno. Solitaria eppure aperta all’amicizia, Lila De Nobili fa rivivere i propri compagni di strada su pezzetti di cartone o carte colorate, come a dare consistenza materica a un incontro che tarda a spegnersi nel cuore delle creature immaginarie. I personaggi di Mignon (Teatro alla Scala, 1958) o di Aida rivelano la medesima familiarità di tante figurine annotate per i boulevard di Parigi o tra vicoli di New Orleans. Umile e determinata, schiva e orgogliosa, l’artista eleva la propria arte a pura espressione poetica. Il confine tra vita e creazione si fa sempre più labile: il teatro diventa per Lila De Nobili il palcoscenico dove far agire le predilette vicende umane. I costumi disegnati per la folla nel trionfo in Aida non si limitano alla codificazione gerarchica delle comparse, ma contengono una quantità di sfumature in sintonia con ciascuna presenza che si umanizza e si individua. Altrove una moltitudine di affetti, ammiccamenti, complicità, simpatie e ostilità si focalizzano su un bimbo intrecciato alla propria madre, su un gruppo di derelitti, sull’ostentazione dei borghesi, sulla élite aristocratica. Perfezionista al punto di faticare a congedarsi dalla propria opera ‘totale’(c’è chi la ricorda dietro le quinte a spennellare il volto di cantanti e coristi), Lila De Nobili non amava si parlasse di lei e tantomeno che la si omaggiasse. Non posso dimenticare il mio incontro con lei, un giorno d’inverno in una soffitta in rue de Verneuil sulla Rive Gauche, dietro il Musée d’Orsay, dove da tempo l’artista si era rifugiata, arroccata come una colomba all’ultimo piano di un vecchio edificio. Fui accolta da una vecchina priva di udito e refrettaria ai ricordi, eppure vivace, curiosa. Testardamente riluttante a ricevere assistenza da alcuno, con coerenza s’era spogliata d’ogni bene, a partire dalle proprie opere. Racchiusa in un guscio fatto di povere cose, sembrava aveva preso dimora nell’ideale soffitta bohémienne, come solo la sua matita l’avrebbe potuta ideare. Ricordo il suo ultimo sorriso, quello di una creatura immersa nel pulviscolo filtrato dall’abbaino, lontanolo scorcio dei tetti parigini: abitatrice, e non più artefice, del suo magico mondo iridescente. Lila De Nobili. Corona egiziana per Amneris.

 

L’opera in breve

 

di Claudio Toscani

dal programma di sala del Teatro alla Scala

Ismail pascià, kedivè d’Egitto, desiderava inaugurare nel modo più degno quell’impresa ciclopica che era stato il taglio dell’istmo di Suez. Al Cairo aveva appena costruito un teatro d’opera, aperto nel 1869 con Rigoletto; ora desiderava farvi rappresentare un’opera su un soggetto “nazionale”, una storia ambientata nell’antico Egitto da affidare alle cure di uno fra i massimi compositori europei dell’epoca. Il kedivè incaricò perciò Auguste Mariette, l’egittologo al suo servizio responsabile degli scavi archeologici nell’intero Egitto, di contattare Verdi (o in subordine Wagner e Gounod) per sondarne la disponibilità a collaborare al progetto. Mariette mandò uno “scenario” – uno schema di libretto d’opera – su un soggetto egiziano a Camille Du Locle, librettista e direttore dell’Opéra-Comique a Parigi, e questi lo sottopose a Verdi, che trovò la storia interessante e ricca di situazioni teatrali. Chi fosse l’autore di questo intreccio, che denota l’esperienza di un uomo di teatro, non s’è mai saputo con esattezza (Du Locle sostenne che era opera del viceré e di Mariette); fatto sta che Verdi accettò, il 2 giugno 1870, di utilizzarlo per scrivere un’opera nuova, che sarebbe andata in scena al Cairo nella stagione invernale successiva. Du Locle si recò a Sant’Agata, nella residenza del compositore, per stendere un libretto in prosa francese, sotto l’attento controllo di Verdi stesso. Il compito di ricavarne un libretto d’opera italiano in versi fu affidato invece ad Antonio Ghislanzoni. Verdi si mise rapidamente al lavoro; ma a partitura praticamente ultimata intervenne a complicare le cose, inaspettata, la guerra franco-prussiana. Le scene e i costumi, preparati a Parigi, non potevano uscire da una città isolata e sotto assedio; fu così che le scadenze per l’allestimento al Cairo, previsto per il gennaio 1871, non poterono essere rispettate. Verdi ne approfittò per rivedere e perfezionare il libretto e la partitura, oltre che per programmare con cura un allestimento dell’opera alla Scala di Milano, che avrebbe seguito la rappresentazione egiziana. La “prima” ebbe luogo, finalmente, al Teatro dell’Opera del Cairo il 24 dicembre 1871, con Giovanni Bottesini alla direzione d’orchestra, in una cornice fastosa e mondana, alla presenza di ambasciatori e teste coronate. Poco dopo, l’8 febbraio 1872, Franco Faccio diresse con altrettanto successo la “prima” italiana dell’opera al Teatro alla Scala. Da quell’epoca, il successo internazionale toccato ad Aida non è mai venuto meno. La vicenda della schiava etiope Aida affonda le radici nell’antico Egitto. Il soggetto, tuttavia, non interessò Verdi per gli effetti esotizzanti che se ne potevano facilmente ricavare: il compositore non utilizzò temi “etnici”, né strumenti particolari al di fuori delle trombe diritte (che egiziane, comunque, non sono). L’ambientazione esotica, semmai, era il punto di partenza per sperimentare quel rinnovamento dell’opera italiana che per Verdi, e per il pubblico dell’intera penisola, era un’esigenza primaria di quegli anni. Per sottrarre il melodramma nazionale alla gabbia di schemi e convenzioni, Verdi creò un ibrido, una sorta di grand opéra italiano, attingendo ai modelli francesi degli anni Sessanta. Fece propria la propensione alla spettacolarità, esaltata dalle danze, dai cori e dalla celebre scena del trionfo; integrò il balletto nell’azione drammatica; fece sfoggio di un’inedita ricchezza armonica e timbrica; irrobustì la scrittura sinfonica, facendo circolare nella partitura una serie di motivi ricorrenti. I più importanti dei quali si presentano già nel preludio, simboleggiando il conflitto che muove l’azione: un tema morbido, lirico e cromatico, associato alla protagonista e alle scene d’amore con Radames, e un tema più vigoroso e inquieto, che esprime la minaccia della casta sacerdotale. Ma altrettanto evidente della volontà di rinnovamento, nell’opera, è il legame con la più autentica tradizione italiana. Aida è costituita da una successione di “numeri” chiusi, benché inseriti in una trama musicale continua, e da un linguaggio melodico prevalentemente regolare e simmetrico. Sulle arie prevalgono i duetti, che permettono ai conflitti interpersonali di emergere in tutta la loro evidenza. Anche il nucleo drammatico, che consiste nel conflitto tragico tra inclinazioni private e pubblici doveri, è dei più tradizionali; Aida, Amneris e Radames soccombono alle ragioni del potere, che schiaccia come l’antico fatum chi vi si oppone: da questo punto di vista, Aida è uno dei melodrammi più “classici” tra quelli verdiani. Non c’è dubbio che al grande successo e alla popolarità di quest’opera concorrano da una parte l’invenzione melodica rigogliosa, che si manifesta in pagine accattivanti come “Celeste Aida”, dall’altra gli apparati scenici grandiosi, la marcia trionfale del secondo atto, le danze, i cori, le pagine di color locale disseminate un po’ ovunque. Aida è un titolo ideale per le grandi rappresentazioni all’aperto, all’Arena di Verona come alle Terme di Caracalla a Roma. Eppure, il baricentro della più spettacolare tra le opere verdiane sta in un conflitto di natura tutta privata, che permette a Verdi di spingere a fondo l’introspezione psicologica. Come in tutto il suo teatro, in Aida Verdi mette in atto quei meccanismi drammatici, concisi e pregnanti, che incatenano l’attenzione dello spettatore facendo leva – più che sugli aspetti esteriori – sul dramma interiore dei personaggi che agiscono sulla scena.

Il soggetto

 

a cura di Claudio Toscani

dal programma di sala del Teatro alla Scala

Atto primo

 

Sala del palazzo del re a Menfi.Ramfis, il capo dei sacerdoti, informa il capitano delle guardie Radames che gli Etiopi sono insorti e minacciano la valle del Nilo. La dea Iside gli ha appena comunicato il nome del condottiero che guiderà l’esercito egiziano: il sacerdote si reca a informarne il re. Rimasto solo, Radames coltiva la segreta speranza di essere il prescelto, esaltandosi al pensiero della gloria e soprattutto di Aida, la schiava etiope che ama appassionatamente. L’espressione del suo volto non sfugge ad Amneris, la figlia del re, che lo ama in segreto e teme d’avere una rivale. All’arrivo di Aida, il turbamento di Radames e quello della schiava stessa rafforzano i sospetti di Amneris. Preceduto da guardie, ministri e sacerdoti giunge il re. Un messaggero racconta dell’invasione degli Etiopi, che alla guida del loro re Amonasro stanno per attaccare Tebe. A tutti i presenti, che invocano la guerra, il re comunica che Iside ha designato Radames quale capo dell’esercito. Questi esulta; Amneris gli consegna una bandiera e tutti lo esortano a tornare vincitore. La sola Aida è disperata: non può augurarsi né di vedere il suo popolo sconfitto e Amonasro, che è suo padre, ridotto in catene, né di perdere l’amato Radames. Interno del tempio di Vulcano a Menfi.Ramfis, con i sacerdoti, è ai piedi dell’altare; dall’interno giunge il canto delle sacerdotesse che invocano il dio Fthà. Nel tempio viene introdotto Radames. Mentre le sacerdotesse danzano, un velo è steso sul capo del condottiero, che viene rivestito delle armi sacre. Ramfis gli affida le sorti dell’Egitto.

 

Atto secondo

 

Una sala nell’appartamento di Amneris.

Tra le danze degli schiavi mori, Amneris si fa abbigliare dalle sue schiave, preparandosi alla festa trionfale in onore del vincitore Radames. Giunge Aida, con aria afflitta. Sospettosa, Amneris finge di condividere il suo dolore per la sconfitta del popolo etiope. Le dà poi la falsa notizia che Radames è stato ucciso in battaglia: la disperazione di Aida conferma ad Amneris che la schiava è sua rivale in amore. Le due donne si confrontano; Amneris, nel massimo furore, minaccia Aida e le impone di assistere al suo imminente trionfo.

 

Uno degli ingressi della città di Tebe.

Entra il re, con il suo seguito, e siede sul trono; gli sono accanto la principessa Amneris con le sue schiave e Aida. Il popolo inneggia all’Egitto, a Iside, al re. L’esercito vittorioso, preceduto da una fanfara, sfila davanti al re; al termine del corteo trionfale compare Radames. Amneris gli pone una corona sul capo e il re lo invita a chiedere ciò che vuole. Aida, intanto, scorge tra i prigionieri etiopi il padre Amonasro, vestito come un semplice ufficiale; lo abbraccia ma non ne rivela, per non tradirlo, la regale identità. Amonasro si presenta al re e invoca clemenza per il popolo vinto. Il popolo egiziano commisera i prigionieri, ma Ramfis e i sacerdoti invitano il re a non avere pietà. Interviene allora Radames, che chiede la vita e la libertà per gli etiopi sconfitti; il re acconsente alla richiesta, stabilendo – su consiglio di Ramfis – che solo Aida e il padre siano trattenuti in pegno di pace. Accorda poi la mano di Amneris a Radames, che regnerà un giorno sull’Egitto. All’esultanza di Amneris fa eco la disperazione di Aida.

 

 

Atto terzo

 

Le rive del Nilo.

Dal tempio di Iside giunge un canto in onore della dea. Da una barca che approda scendono Amneris, Ramfis, alcune donne velate e guardie. È la vigilia delle nozze, e Amneris si reca al tempio per pregare. Giunge Aida, coperta da un velo: attende Radames, che le ha dato un appuntamento. Mentre aspetta l’amato ripensa al suo sogno d’amore infranto e alle bellezze della sua patria, che non rivedrà più. Le compare innanzi Amonasro. Il padre, che si è accorto del suo amore per Radames, le prospetta il ritorno in patria e la felicità amorosa; ma gli egiziani dovranno prima essere sconfitti: perciò le chiede di carpire a Radames il segreto della via che seguirà l’esercito. Aida dapprima si oppone, poi finisce per cedere alle insistenze di Amonasro, che la chiama schiava dei faraoni e minaccia di ripudiarla. Amonasro si nasconde. Giunge Radames, che si confida con Aida: spera in un’altra vittoria, che gli faccia ottenere dal re, come ricompensa, il permesso di sposarla. Aida gli propone invece di fuggire in Etiopia, dove potranno vivere felici; vinta l’iniziale esitazione di Radames, i due si preparano alla fuga. Aida chiede a Radames come sfuggire all’esercito, e questi risponde che sino all’indomani le gole di Nàpata saranno sgombre. Amonasro, udito il nome del luogo, esce allo scoperto e rivela di essere il re degli Etiopi. Radames, annientato, capisce d’aver tradito la patria. Quando Amneris esce dal tempio, accusando Radames di tradimento, Amonasro si scaglia su di lei per ucciderla; ma Radames si frappone, riuscendo a evitare che la colpisca. Fa poi fuggire Aida e suo padre e si consegna a Ramfis.

 

Atto quarto

 

Sala nel palazzo del re.

Amneris è disperata: Radames sta per essere processato per tradimento. Lei continua ad amarlo ed è decisa a fare di tutto per salvarlo. Lo fa condurre in sua presenza e lo scongiura di discolparsi; ma Radames rifiuta, sostenendo che il suo onore non è macchiato e che è deciso a morire, avendo perduto Aida. Amneris gli rivela che la fanciulla è viva e libera, e gli promette la vita se rinuncerà a lei: ma Radames ribadisce la sua ferma volontà di morire. Amneris vede passare i sacerdoti che entrano nel sotterraneo per pronunciare la sentenza. Radames, accusato d’aver tradito la patria, d’aver disertato la battaglia e d’esser venuto meno alla fiducia del re, rifiuta di difendersi ed è condannato a essere sepolto vivo. Amneris, nella massima disperazione, maledice i sacerdoti.Nel piano superiore, interno del tempio di Vulcano; nel piano inferiore, un sotterraneo.Due sacerdoti chiudono la pietra del sotterraneo in cui è sepolto Radames. Questi sente, nell’oscurità, un gemito e scorge una figura che s’avanza: è Aida, introdottasi furtivamente nel sotterraneo e decisa a morire tra le braccia dell’amato. Radames e Aida, che già vede avvicinarsi l’angelo della morte, prendono insieme commiato dalla vita terrena e si apprestano a volare in cielo. Nel tempio Amneris, vestita a lutto, prega Iside per l’anima di Radames.

OMER MEIR WELLBER 

Omer Meir Wellber è nato nel 1981 in Israele. Direttore stabile della Raanana Symphonette Orchestra, è stato nominato nuovo Direttore Musicale del Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia per il periodo 2011-2014. Comincia a studiare musica all’età di cinque anni, suona la fisarmonica e il pianoforte. A dieci anni inizia a studiare composizione, prima con Tania Teler e in seguito con l’israeliano Michael Wolpe, che sarà il suo insegnante fino al 2004. Nel 1999 si diploma al Beer Sheva Conservatory e da allora la sua musica viene suonata in orchestre, ensemble e trasmissioni radiofoniche sia in Israele che all’estero. Wellber frequenta quindi la Jerusalem Music Academy, dove studia con il professor Eugene Zirlin e si diploma con il professor Mendi Rodan. Si esibisce con la Israeli Sinfonietta, la Israel Chamber Orchestra, la Jerusalem Symphony, la Haifa Symphony e la Israel Symphony di Rishon Le’Zion. Tra le composizioni eseguite dalla Israeli Sinfonietta figurano la sua Suite for Strings Orchestra, Bassoon and Clarinet, il Piano Concerto n. 1 e il Mandolin Concerto. Per quanto riguarda invece la musica da camera, da citare le esecuzioni di Music for Ten Instruments da parte di Kaprisma durante il loro tour europeo, l’Oboe Quintet “The Last Leaf” da parte di Musica Nuova, e il Piano Trio and Accordion da parte dell’Amber Trio Vienna, con la partecipazione dello stesso Wellber alla fisarmonica.  Nel dicembre 2004, Wellber dirige la prima mondiale del suo Concerto per viola, dedicato ed eseguito da Amichai Grosz del Jerusalem Quartet e dalla Israel Chamber Orchestra. Negli ultimi cinque anni, ha ricevuto una borsa di studio dalla America-Israel Cultural Foundation. Dal 2005 Wellber è presente regolarmente alla Israeli Opera di Tel Aviv dove ha diretto, tra le altre, La Traviata, La frza del destino, Turandot, Madama Butterfly, La Gioconda, L’elisir d’amore, Il trovatore e Così fan tutte. Nel febbraio 2007 dirige l’Orchestra Filarmonica di Pechino in un concerto di Gala.Nell’ottobre 2008 dirige Aida al Teatro Verdi di Padova e, sempre nello stesso anno, viene scelto dalla rivista ‘Classic Voice’ come giovane promessa internazionale. Tra il 2008 e il 2010 è assistente di Daniel Barenboim alla Staatsoper di Berlino e alla Scala. Dirige inoltre Aida a Tel Aviv con l’Orchestra della Scala nella tournée in Israele, ottenendo un grande successo personale.  Dirige Carmen alla Staatsoper di Berlino, il concerto di debutto al Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia, e un concerto al 73° Maggio Musicale Fiorentino. Viene inoltre invitato dal Maestro Ozawa per dirigere Salome al Saito Kinen Festival di Matsumoto, dove riscuote ottimi consensi. La consacrazione internazionale giunge grazie al successo per una nuova produzione di Daphne alla Semperoper di Dresda; seguono Tosca alla Staatsoper di Berlino e concerti sinfonici alla Fenice di Venezia. Di recente dirige Aida, Evgenij Onegin e L’elisir d’amore al Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia, Tosca alla Scala, Rigoletto alle Wiener Festwochen, Tosca al Teatro Massimo di Palermo, Boris Godunov a Valencia, La traviata alla Staatsoper di Berlino, concerti sinfonici a Parigi con l’Orchestre de Paris, a Milano con la Filarmonica della Scala e a Tel Aviv con la Israel Philharmonic Orchestra.  Fra i suoi prossimi impegni: nuove produzioni di La traviata e Il trovatore alle Wiener Festwochen, La traviata a Monaco, Tosca e La vida breve-El amor brujo a Valencia, Carmen e L’elisir d’amore a Venezia, una nuova produzione di Euryanthe a Francoforte. Intensa anche la sua attività concertistica, che prevede concerti con Orchestra della RAI di Torino, Orchestra di Santa Cecilia, DSO Berlino, Gewandhaus di Lipsia.

 

FRANCO ZEFFIRELLI

 

Regista cinematografico, regista e scenografo di opere liriche e teatrali, è nato il 12 febbraio 1923 a Firenze, città in cui ha studiato all’Accademia di Belle Arti e alla Facoltà di Architettura.Nel 1946 si trasferì a Roma, dove esordì come attore nel cinema e nel teatro. La passione per lo spettacolo lo spinse ad accettare ogni genere di lavoro che gli consentisse di venire a contatto con quel mondo. Determinante per la sua formazione alla regia cinematografica e teatrale fu l’incontro con Luchino Visconti, che lo volle prima tra i suoi collaboratori (in veste di assistente) e poi scenografo per Troilo e Cressida (1949) di W. Shakespeare e per Un tram che si chiama desiderio di T. Williams. Successivamente fu suo aiuto regista in vari spettacoli teatrali e per i film La terra trema (1947), Bellissima (1951) e Senso (1954). Zeffirelli racconta che Visconti era molto esigente con i suoi collaboratori, ma sapeva anche aprirli ai “misteri” e alle “liturgie” dello spettacolo con una finezza incomparabile. Fu da tale “maestro” che ereditò quella passione per il mondo dello spettacolo che di lì a poco rivelò con l’allestimento di Romeo e Giulietta per la Old Vic Company di Londra (1960), santuario delle opere shakespeariane, dove mai prima di allora nessun regista italiano aveva lavorato.Già in precedenza, com nque, aveva avuto modo di manifestare il suo talento di regista lirico e drammatico mettendo in scena, tra gli altri spettacoli, La Cenerentola di Rossini (1953) e La traviata di Verdi (1958) con Maria Callas. Il primo impatto con la regia cinematografica risale al 1957, ma soltanto dieci anni più tardi avvenne il vero debutto con temi a lui congeniali come fu la riduzione cinematografica di La bisbetica domata (1967) e di Romeo e Giulietta (1968). Quest’ultimo film gli valse ben cinque Nastri d’argento assegnati dai giornalisti cinematografici italiani e la nomination agli Oscar americani. I maggiori teatri lirici del mondo, dalla Scala al Metropolitan di New York, dal Covent Garden di Londra alla Staatsoper di Vienna, l’hanno chiamato ad allestire spettacoli cui il pubblico ha riservato accoglienze trionfali. Eccezionali pure le affermazioni da lui ottenute sulle scene del teatro di prosa, sia in Italia che all’estero, con i drammi di Shakespeare da Amleto con Giorgio Albertazzi, portato anche a Londra, e Romeo e Giulietta; con La lupa di Verga, che ebbe Anna Magnani come protagonista (in tournée anche nell’ex Unione Sovietica); e con i lavori di autori contemporanei, da Chi ha paura di Virginia Woolf ? di E. Albee a Dopo la caduta di A. Miller, da Due più due non fanno più quattro di L. Wertmüller a Sabato, domenica e lunedì di Eduardo De Filippo, presentata all’Old Vic di Londra per l’interpretazione di Laurence Olivier. In forte antitesi con la cinematografia commerciale, Zeffirelli volle dimostrare che il cinema offriva ancora possibilità di affermare i grandi valori dell’uomo e portò sullo schermo la vita di San Francesco d’Assisi nel film Fratello Sole, Sorella Luna (1972). Nel 1976 fece seguito Gesù di Nazareth, realizzato per la RAI-TV e per le reti televisive inglesi e americane. A tutt’oggi visto da oltre 600 milioni di persone, è una delle opere di maggior successo su piccolo schermo. Per la televisione aveva già realizzato, nel 1966, un servizio sull’alluvione di Firenze. Altra occasione televisiva fu il grande concerto celebrativo del secondo centenario della nascita di Ludwig van Beethoven, diretto da Sawallisch, che la RAI-TV poté realizzare per la prima volta nella Basilica di San Pietro, alla presenza di Paolo VI. Zeffirelli è tornato al cinema con Il campione (The Champ), girato a Hollywood con Faye Dunaway, John Voight e il piccolo Rick Schroeder; successivamente ha girato ancora a Hollywood un secondo film, Amore senza fine, uno fra i maggior successi di pubblico della stagione 1981-82. Nel 1980 ha realizzato i film-opera Cavalleria rusticana di Mascagni e Pagliacci di Leoncavallo, esperienza che lo ha portato a girare la versione cinematografica de La traviata. Nel 1988 gira Il giovane Toscanini con Elizabeth Taylor, poi nel 1990 e nel 1994 ritorna in Inghilterra per le riprese di due spettacolari film come Amleto con Mel Gibson, Glenn Close, Helena Bonham-Carter, Alan Bates, e Jane Eyre con William Hurt, Charlotte Gainsbourg, Joan Plowright, Geraldine Chaplin, Anna Paquin e Maria Schneider. In Italia gira Storia di una capinera (1993), Un tè con Mussolini (1998) e l’ultimo suo film, Callas Forever (2001), che ha riscosso ovunque un grandissimo successo di pubblico e di critica. Nel frattempo ha sempre continuato a dirigere spettacoli lirici alla Scala, a New York, al Covent Garden e nei maggiori teatri d’opera del mondo: Mosca, Vienna, Tel Aviv, Atene… Negli anni più recenti, dopo l’Aida che ha inaugurato la Stagione 2006-07 del Teatro alla Scala, ha messo in scena all’Opera di Roma La traviata (2007), Tosca (2008), I pagliacci (2009) e Falstaff (2010); nel 2010 ha inaugurato la Stagione dell’Arena di Verona con Turandot. Con la stessa opera ha inaugurato nel 2011 la Royal Opera House di Muscat (in Oman), con i complessi dell’Arena di Verona diretti da Placido Domingo. Regista sempre alla ricerca della perfezione stilistica e figurativa, ha firmato spettacoli a cui hanno partecipato i più illustri direttori d’orchestra, i cantanti più rinomati e gli attori più popolari: Herbert von Karajan, Leonard Bernstein, Carlos Kleiber, James Levine, Tullio Serafin, Carlo Maria Giulini, Riccardo Muti; Maria Callas (che ha diretto in ben cinque opere), Mirella Freni, Teresa Stratas, Katia Ricciarelli, Placido Domingo, Luciano Pavarotti, Tito Gobbi, Richard Tucker, Piero Cappuccilli; Laurence Olivier, Alec Guiness, Richard Burton, Rod Steiger, Peter Ustinov, Paolo Stoppa, Giorgio Albertazzi, Giancarlo Giannini, John Gielgud, Mel Gibson, Anna Magnani, Rina Morelli, Joan Plowright, Ann Bancroft, Valentina Cortese, Sarah Ferrati, Monica Vitti, Vanessa Redgrave, Maggie Smith, Cher, Judi Dench, Faye Dunaway e molti altri. Sin dagli esordi la sua carriera è legata al Teatro alla Scala, dove ha messo in scena numerosi spettacoli – occupandosi non solo della regia ma in molti casi anche delle scene e dei costumi – ripresi e riproposti più volte nel tempo: L’italiana in Algeri (1953), La Cenerentola (1954), L’elisir d’amore (1954-55), Il turco in Italia (1955), Cecchina, o la buona figliola (1957), Mignon (1958), Don Pasquale (1959), Le astuzie femminili (1960), Lo frate ’nnamorato (1960), La bohème (dal 1963 al 2008; in programma di nuovo nell’autunno 2012), Aida (1963, 1965, 1966, 1976, 2006, 2009), La traviata (1964), Un ballo in maschera (1972, 1975, 1977-78), Otello (1976, 1980, 1982, 1987), Pagliacci (1981, 1984, 1987, 1993), Cavalleria rusticana (1981, 1988), Turandot (1983, 1985, 1988), Il lago dei cigni (1985-86), Don Carlo (1992) e La fille du régiment (1996, 2007).

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