LA CASA UN BENE PREZIOSO
TRA RIFORME FISCALI
E PROFESSIONISTI,
TASSE
Il Governo MONTI stà rielaborando le Tasse e il reddito dello studio professionale tali tassi saranno separati da quelli del titolare, nasce l’Iri: imposta sul reddito imprenditoriale – Separare il reddito dello studio professionale da quello del professionista, dando un incentivo al reinvestimento degli utili. È uno degli obiettivi del ddl delega per la riforma fiscale, che rivede il sistema della tassazione in senso “growth friendly”, cioè a favore della crescita economica.
Professioni: via libera definitivo della Camera alle liberalizzazioni– In caso di conferma della delega nel Consiglio dei Ministri di venerdì e con successivi provvedimenti governativi, potrebbe verificarsi una vera e propria “rivoluzione fiscale”. Quanto già accade nelle grandi realtà imprenditoriali, potrebbe infatti essere esteso a professionisti e imprese individuali, ma probabilmente anche al popolo delle partite iva. Con le novità in cantiere, a questi soggetti converrebbe ricapitalizzare la propria attività, dal momento che gli utili lasciati nella disponibilità dello studio sarebbero tassati meno di quanto accadrebbe se fossero assorbiti nel patrimonio personale del professionista o ripartiti tra il professionista e i suoi eventuali soci. Il ddl mira infatti a razionalizzare il sistema del pagamento delle imposte separando non solo le attività, ma anche il reddito di professionisti (o imprenditori individuali) e studi professionali (o imprese). Ne consegue un vantaggio per il professionista o imprenditore che vuole reinvestire nel miglioramento dello studio professionale o dell’impresa i guadagni realizzati con la propria attività. Reddito e tassazione, cosa prevede il ddl delega Con il nuovo ddl, il reddito che l’imprenditore individuale ricava dall’attività per il suo contributo lavorativo è considerato un costo per l’azienda, quindi deducibile dall’imposta sulle società, ma anche reddito personale, soggetto all’imposta sulle persone fisiche. Seguendo questo approccio, si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge, si potrebbe quindi separare le tasse dell’impresa da quelle dell’imprenditore. L’Ires, tassa sulle imprese, verrebbe quindi ribattezzata Iri, cioè imposta sul reddito imprenditoriale. Se la bozza venisse confermata in Consiglio dei Ministri e dai successivi provvedimenti governativi, quanto già accade per le grandi imprese potrebbe essere esteso agli studi professionali, alle imprese individuali e, probabili – I vantaggi della separazione tra impresa e imprenditore. Il nuovo sistema apporterebbe una serie di vantaggi. In primo luogo, gli utili non distribuiti verrebbero tassati con la stessa aliquota dell’imposta societaria, che è minore di quella dell’imposta sulle persone. In questo modo verrebbe favorita la patrimonializzazione delle piccole imprese e penalizzata la distribuzione di compensi all’imprenditore e ai suoi soci. Allo stesso tempo, tutte le imprese e le professioni sarebbero tassate nello stesso modo, a prescindere dalla forma giuridica. Separando l’azienda dall’imprenditore, si farebbe infine più attenzione al suo contributo in termini di prestazioni lavorative. In sostanza, conclude il testo che venerdì dovrebbe essere convalidato dal Consiglio dei Ministri, separando il reddito dello studio da quello del professionista diventerebbe possibile sgravare il reddito reinvestito nell’attività dello studio, mantenendo invece analoga la tassazione per gli altri redditi da lavoro.
GOVERNO E LA RIFORMA DEL CATASTO
Entro 9 mesi dall’entrata in vigore della legge delega, è demandata al Governo l’adozione di uno o più decreti legislativi per la riforma del catasto fabbricati. La revisione mira a creare maggiore equità, allineando le rendite catastali ai valori di mercato. Per evitare un aggravio del carico fiscale, è prevista anche la contestuale riduzione delle aliquote. Ai sensi dei futuri decreti, a ogni unità immobiliare deve essere attribuito il valore patrimoniale e la rendita secondo un approccio basato sulla collaborazione con i Comuni, nel cui territorio sono collocati gli immobili, e sulla definizione degli ambiti territoriali del mercato immobiliare di riferimento. L’attribuzione del valore patrimoniale e della rendita deve riferirsi ai rispettivi valori medi ordinari espressi dal mercato nel triennio antecedente l’anno di entrata in vigore del decreto legislativo. È inoltre necessario rideterminare le definizioni delle destinazioni d’uso catastali ordinarie e speciali, tenendo conto delle mutate condizioni economiche e sociali e delle conseguenti diverse utilizzazioni degli immobili. Il valore patrimoniale medio ordinario è stabilito secondo paramenti determinati. Per le unità immobiliari a destinazione catastale ordinaria, il processo estimativo usa il metro quadrato come unità di consistenza, specificando i criteri di calcolo della superficie dell’unità immobiliare. Si prevede poi l’uso di funzioni statiche per esprimere la relazione tra il valore di mercato, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale. Per le unità immobiliari a destinazione catastale speciale, sono previsti procedimenti di stima diretta, con l’applicazione di metodi standardizzati e di parametri di consistenza specifici per ciascuna destinazione catastale speciale. Nel caso in cui non sia possibile fare riferimento ai valori di mercato, si userà il criterio del costo per gli immobili a carattere prevalentemente strumentale, e il criterio reddituale per gli immobili per i quali la redditività costituisce l’aspetto prevalente. La rendita media ordinaria viene determinata con un processo estimativo basato su funzioni statistiche idonee ad esprimere la relazione tra i redditi da locazione medi, la localizzazione e le caratteristiche edilizie dei beni per ciascuna destinazione catastale e per ciascun ambito territoriale. Nel caso in cui non ci sia un consolidato mercato delle locazioni, la rendita è determinata applicando ai valori patrimoniali dei saggi di redditività desumibili dal mercato dei tre anni precedenti all’entrata in vigore del decreto legislativo. I decreti legislativi emanati dal Governo dovranno inoltre procedere ad un generale riordino normativo sulla materia catastale. Tutti pagheranno di più. E questo, per quanto riguarda la prima casa non risponde certo a criteri di equità. La prima casa produce infatti reddito per chi ci abita, quindi è un reddito solo da un punto di vista teorico. Le rendite catastali saranno quindi incrementate? No, il governo non incrementa le rendite, ma il coefficiente moltiplicatore che va a determinare l’imponibile. Se io avevo un appartamento con una rendita catastale da 100 euro, fino a un anno fa dovevo moltiplicarlo per 126 (115 per la prima casa prima dell’abolizione del governo Berlusconi) e il valore finale risultava pari a 12.600. Da dicembre con l’Imu questo moltiplicatore è salito a 160, e quindi il valore finale è di 16.000. Tutte le percentuali aumentano perché il coefficiente per cui moltiplicarle è più alto. Ogni volta che mi reco al catasto, trovo degli anziani in coda per vedere se la loro rendita catastale è stata aumentata. In realtà quest’ultima rimane invariata. Può fare un esempio concreto? In via Calatafimi, zona Molino delle Armi, a Milano un appartamento di tre vani, pari cioè a 55/60 metri quadri, ha una rendita di 594, che con l’Ici era moltiplicato per 126 e produceva un risultato finale pari a 74.818. Se quindi il proprietario dichiarava un valore dell’appartamento pari a 75mila euro, pagava le tasse su quella somma senza il bisogno di alcun accertamento. Se io trovassi degli appartamenti a 75mila euro in quella zona di Milano, ci investirei tutti i miei soldi. La rendita catastale è quindi sganciata da un dato reale. Il governo Monti lascia la rendita invariata, ma portando il coefficiente a 160, il valore finale diventa pari a 95mila euro, che è comunque ancora un dato basso. Per ciascuna zona di Milano, con la riforma, il valore catastale rimarrà invariato, anche perché riuscire a cambiarlo richiederebbe un lavoro lungo anni.
REGOLE TRA I PROFESSIONISTI
E LE IMPRESE DEL SETTORE
Il ddl prevede che il Governo emani uno o più decreti legislativi per assoggettare ad un’imposta unica i redditi da lavoro autonomo, esercitato dal professionista, anche in forma associata, e da impresa commerciale. Dalla base imponibile alla quale si applica la nuova imposta unica, sono dedotte le somme prelevate dal professionista, dall’imprenditore o dai soci. Queste somme concorrono a formare reddito imponibile ai fini Irpef. La disposizione mira molto probabilmente ad incentivare i professionisti e gli imprenditori a reinvestire nello studio o nell’impresa gli utili derivanti dall’attività professionale o imprenditoriale, in modo da favorire la crescita. Gli utili lasciati nella disponibilità dello studio potrebbero infatti essere tassati meno di quanto acadrebbe se fossero assorbiti nel patrimonio personale del professionista o ripartiti tra il professionista e i suoi eventuali soci .