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Dopo aver toccato il fondo, dopo i ripetuti crolli, reali e metaforici, dopo le restrizioni e i tagli draconiani, le dure dimissioni del Presidente del Consiglio superiore dei beni culturali Andrea Carandini, le accese proteste degli esponenti del mondo della cultura e dei lavoratori del settore, dopo scioperi e agitazioni, realizzati e paventati, finalmente una buona notizia per la cultura e il nostro patrimonio: il reintegro delle risorse destinate al Fondo Unico per lo Spettacolo e ai beni culturali.

Lo scorso 23 marzo, infatti, il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che, a partire dal 2011, assegna in misura permanente al Ministero per i Beni e le Attività Culturali la somma di 236 milioni di euro, ripartita in 149 milioni di euro destinati al Fondo Unico per lo Spettacolo, 80 milioni di euro alla tutela e al recupero del patrimonio storico, architettonico, artistico e archeologico e 7 milioni di euro agli istituti culturali. Il provvedimento prevede inoltre l’assunzione di organico nei ruoli tecnico-scientifici e dirigenziali, attingendo in prima istanza alle graduatorie dei precedenti concorsi, e comprende norme straordinarie per il recupero complessivo degli scavi archeologici di Pompei, annunciando l’adozione di un piano straordinario di manutenzione e il potenziamento dei poteri di tutela della Soprintendenza, anche attraverso l’aumento del personale tecnico addetto e l’invio di una task force composta da archeologi, architetti e operai specializzati per la realizzazione dei primi interventi di necessità.

L’annuncio del provvedimento – dietro la cui abile regia, frutto anche di un’intensa rete di rapporti con il Ministero dell’Economia, ci sarebbe il Sottosegretario Letta – ha coinciso suggestivamente con l’ufficializzazione della fine della “sfortunata” (è un eufemismo) avventura di Sandro Bondi alla guida del Ministero, sostituito dall’ex titolare dell’Agricoltura Giancarlo Galan. Senza volersi interrogare sulla scelta, appare scontato che, al di là della pesante eredità, Galan si trova a inaugurare il nuovo corso con un notevole slancio, proprio grazie al reintegro, e con la quasi assoluta certezza di non poter fare peggio del suo predecessore.

Quello dello stanziamento è stato senza dubbio un messaggio importante, in merito al quale Gianni Letta ha cavallerescamente chiosato: “Tutto è bene ciò che finisce bene. Il governo non solo è sensibile alla cultura, ma è convinto che questo Paese non possa risorgere se non risollevandola e valorizzando altresì i propri beni artistici”, mentre più o meno tutti gli esponenti del mondo della cultura si sono dichiarati sollevati, in primis il dimissionario Andrea Carandini che ora si dimostra disponibile a riaprire un dialogo con il Ministero. Dopo avere di fatto sfiorato la cancellazione del Mibac sembra dunque esserci una nuova speranza, con tutte le incertezze e i timori che la ‘speranza’, inevitabilmente, comporta.

Per il momento è stata vinta una battaglia, grazie soprattutto alle forti pressioni da parte degli addetti ai lavori e dell’opinione pubblica e alle proteste di portavoce autorevoli, su tutti Riccardo Muti, il quale, chiamato a dirigere il Nabucco per le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia, ha ricordato il valore della cultura e ha denunciato con forza i tagli attuati dal Governo. Ricordiamo tuttavia che si tratta sostanzialmente di un reintegro che va ad arginare un’emergenza drammatica riportando la situazione alla normalità, cioè ai livelli del 2010. L’aspetto forse più significativo del decreto è il riconoscimento del ruolo centrale e imprescindibile dello Stato in materia culturale; il messaggio che lo Stato, così come prescrive la Costituzione, deve incentivare la cultura e prendersi cura del patrimonio pubblico.

Ora rimane da vincere la sfida più importante, quella di una politica culturale attenta, frutto di una gestione puntuale e coordinata, di progetti incisivi di ampio respiro e a lungo termine, e di un impegno costante nella tutela del nostro vastissimo patrimonio. E senza il primo passo del reintegro sarebbero mancate le condizioni minime di partenza.

Grazie al decreto a Pompei la situazione cambia radicalmente, come sottolinea Carandini: “Si può immaginare un serio progetto di manutenzione programmata, e quindi di salvezza dell’area. Sono in arrivo trenta funzionari e quaranta operai. Un nucleo di simili dimensioni può essere un efficacissimo braccio operativo”. A fronte dell’annuncio di queste misure straordinarie Elena Cinquantaquattro, da gennaio a capo della Soprintendenza di Napoli e Pompei, invita ad agire concretamente e commenta: “Speriamo che la notizia sia vera e che l’iniziativa sia supportata da tutti: è chiaro che abbiamo un enorme bisogno tanto di fondi per il restauro che di personale” – una considerazione accorta, che deriva dalla delusione, già più volte vissuta in questi pochi mesi, di fronte a iniziative sia parlamentari che di governo prima annunciate e poi disattese. Da parte nostra vorremmo che questa fortissima attenzione a Pompei – peraltro tenacemente esibita da Galan in più occasioni: “Affrontare l’emergenza partendo da Pompei”; “Pompei non è importante, è importantissima”; etc. – fosse davvero dettata da un urgente impulso etico di tutela, da estendere in breve tempo a tutti i numerosissimi siti archeologici e non del Paese che versano in situazioni drammatiche, e non un’accorta operazione d’immagine per accattivarsi il consenso dell’opinione pubblica. D’altra parte quello di cui la politica culturale italiana ha più bisogno in questo momento è uscire da costanti situazioni d’emergenza e avere la certezza di poter contare su finanziamenti ordinari, stabili e dignitosi, e su robuste strategie coordinate.

Un modo per avere una certa stabilità di entrate è stato risolto momentaneamente con un provvedimento che ha fatto piuttosto discutere. Il reintegro del FUS, che prevede peraltro la giusta abolizione del rincaro di 1 eu

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