Oggi mancano gli insetti pronubi impollinatori e secondo gli esperti che studiano il fenomeno il calo dei semi prodotti dai fiori selvatici arriva fino al 50%, mettendo a rischio la sopravvivenza degli stessi fiori e della biodiversità dei nostri panorami.
Sulle Alpi ci sono 13 mila specie di piante: circa l’8% sono endemiche, cioè crescono solo in questi ambienti. Ci sono specie che da sempre hanno accompagnato l’uomo sulle montagne come le erbe per i foraggi degli animali o gli alberi da legna che hanno assicurato per secoli una serie di servizi ecosistemici indispensabili allo sviluppo delle comunità di alta quota. Non mancano i relitti vegetali sopravvissuti alle glaciazioni e una famiglia allargata di fiori spontanei che anima i giardini naturali che si formano nelle praterie: alcuni sono così rari che si trovano solo in numero ristretto di valli. In media nell’habitat alpino si possono contare 80 specie diverse, tra flora e fauna, in cento metri quadrati. Molte piante presenti in questo ambiente si comportano da indicatori biologici, offrendo agli scienziati prove e campioni per studiare i cambiamenti climatici. Oggi una parte di queste popolazioni è a rischio estinzione per l’arretramento dei ghiacciai dovuto al riscaldamento globale. Fiori come speronella, fiordaliso, gittaione, garofanino selvatico o e nigella svolgono una “silenziosa terapia del benessere” mediante i proprio sgargianti colori durante le rispettive dinamiche di fioritura. La progressiva colonizzazione umana o meglio antropizzazione del territorio che priva di spazi ecologici gli impollinatori, unitamente a una gestione agrionomica estremamente semplificata, rischiano di determinare una sorta di progressivo “abbruttimento” dei paesaggi rurali rendendoli sempre più poveri di quella componente cromatica che noi percepiamo come bellezza”.
