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Ecco perché il placebo funziona

 

“… su di me non funzionerebbe” … “la suggestione ha i suoi effetti…” … “sono cose per i deboli”… sono le tipiche risposte alla domanda sul perché molte persone guariscono grazie a espedienti psicologici come le pillole ‘finte’ contenenti zucchero o fiale di acqua distillata: si tratta di pura suggestione? Una serie di nuovi studi spiegano che cosa succede nel nostro cervello.

 

 

Pillole di zucchero che cancellano colite o mal di testa, acqua distillata antidolore, finta agopuntura – con aghi retrattili che non lasciano il segno – efficace quanto quella vera: e se l’effetto placebo fosse una terapia? Se potesse ispirare un modo nuovo di fare medicina? A lanciare il sasso è un’ampia rassegna pubblicata su “Lancet”, in cui un gruppo di ricercatori, tra cui  il neurofisiologo italiano Fabrizio Benedetti, suggeriscono che il “niente” possa davvero curare. Come sembra oggi confermare uno studio realizzato da Carlo Porro dell’Università di Modena e Reggio Emilia  dal quale emerge che l’effetto placebo riduce la percezione del dolore intervenendo direttamente sui circuiti cerebrali che ne stanno alla base. 

“Abbiamo cominciato da poco a studiare le basi neurali dell’effetto placebo”, spiega Porro. E molti ricercatori non amano sentirsi ricordare che ogni farmaco, anche il più efficace, può agire almeno in parte grazie all’effetto placebo. “Anche se spesso nelle sperimentazioni i ricercatori tengono conto di questa possibilità”, spiega Benedetti.  

 

Ma l’impatto vero del placebo emerge quando si esce dal mondo dei laboratori e delle sperimentazioni, per valutarne  l’effetto sui pazienti. “Che nasce da una contraddizione intrinseca, dato che per definizione”, osserva Benedetti, “il placebo è un elemento inerte”. Rappresentato da una sostanza – pillole di zucchero o fiale di acqua distillata – una manovra chirurgica, un finto ago da agopuntura. Ma anche, o soprattutto, dallo scenario che si costruisce intorno al trattamento, e dal rapporto medico paziente.

 

“Le interazioni psico-sociali sono fondamentali per l’evoluzione della modulazione cognitiva del dolore, e quindi per l’esito clinico”, spiega Porro: “Non possiamo pensare che un distributore automatico di farmaci funzioni come un medico attento e premuroso in camice bianco”. A confermarlo, una serie di studi che mostrano come una terapia antidolorifica somministrata all’insaputa del paziente risulti molto meno efficace della stessa terapia, ma assunta con il supporto e la presenza attenta del personale sanitario. Non solo: durante alcune sperimentazioni è stato detto ai pazienti che la sostanza che assumevano avrebbe potuto essere indifferentemente un placebo o un farmaco, e si è visto che questa informazione ha condizionato la risposta alla terapia. “Sappiamo che più il paziente riceve spiegazioni convincenti, più la terapia è efficace. Anche quando si tratta di un vero farmaco”, ricorda Porro. 

“Oggi la medicina tende a concentrarsi sulle cause molecolari e biochimiche della malattia, guarda meno all’aspetto umano e psicologico. Ma stiamo cominciando a capire che la psiche gioca un ruolo importante sulla malattia”, prosegue Benedetti. Secondo Ellen Langer, docente di psicologia ad Harvard e un’autorità degli studi sulla mente e la consapevolezza, il placebo è “un meccanismo che, convincendoci che staremo meglio, attiva le potenzialità del nostro organismo”. 


Gli studi sul dolore aiutano a capire come questo possa accadere.”L’analgesia da placebo mostra come aspettative o credenze possono influenzare la percezione del dolore”, spiega Porro:”Abbiamo visto chiaramente che l’assunzione del placebo riduce l’attività di aree cerebrali che rispondono agli stimoli dolorosi, in modo coerente con la riduzione di dolore riportata dal soggetto”. È la prima volta che da uno studio emerge così chiaramente il parallelo tra riduzione del processo sensoriale che genera i segnali alla base del dolore (effetto del placebo), e riduzione dell’intensità percepita del dolore stesso”.


Altri studi mostrano che il niente che cura funziona anche attraverso l’apprendimento sociale, grazie a un meccanismo neuronale che i ricercatori definiscono “specchio”: se vediamo qualcuno che trae beneficio da una terapia, quando ci viene somministrato qualcosa di apparentemente identico ci sentiamo meglio, anche se si tratta di un placebo. E gli scienziati hanno osservato che questo accade grazie all’attivazione delle stesse aree della corteccia cerebrale che si è scoperto essere responsabili dell’effetto placebo. Per questo, spiega Porro, “la seduta del dentista o le medicazioni in ambulatorio sono più dolorose se mentre aspettiamo in sala di attesa sentiamo che qualcuno urla o si lamenta. Un dato di cui medici e personale sanitario dovrebbero tenere conto”.

 

Il nulla che cura è oggi oggetto di grande interesse scientifico e viene indagato da un numero sempre crescente di ricerche. E grazie a questa mole di indagini, aggiunge Benedetti, “ci stiamo rendendo conto che non esiste un effetto placebo ma molti, che riguardano patologie diverse e implicano meccanismi diversi. Ad esempio, i percorsi neuronali che provocano l’effetto placebo analgesico non sono gli stessi che si attivano in disturbi del movimento come il Parkinson o in casi, come le modifiche alle risposte ormonali o immunitarie, in cui il processo è totalmente inconscio”. Ma l’ambito terapeutico nel quale l’effetto è più marcato riguarda i disturbi come l’ansia sociale o la depressione. “Come se desse il suo meglio con patologie che hanno che vedere con il cervello, quando per così dire “gioca in casa “”, spiega Porro: “Mentre per esempio, sembra avere pochi effetti sulla glicemia in pazienti diabetici”.

In ogni caso il placebo nasce dall’azione combinata di meccanismi diversi, legati alle aspettative, alla memoria, all’apprendimento alla ricompensa, alla riduzione dell’ansia e ad altro ancora. “Se so che una compressa tonda e bianca è in grado di farmi passare il mal di testa, qualunque compressa di questo tipo ha la potenzialità di raggiungere lo stesso effetto”, spiega Benedetti. È quello che i neurologi definiscono meccanismo di condizionamento classico, per cui l’associazione tra uno stimolo neutro – l’aspetto della compressa – e l’azione di un farmaco può far sì che lo stimolo neutro sia sufficiente a riprodurre l’effetto desiderato. Anche grazie al fatto che assumere qualcosa placa: “Sapere che si sentirà meno male riduce effettivamente l’ansia collegata ad uno specifico trattamento”, dice Benedetti. Non solo: uno studio pubblicato sul “Journal of the American Medical Association” mostra, tra l’altro, come un placebo presentato come più costoso si riveli anche più efficace.

Ma è lecito somministrare una sostanza inerte facendola passare per un farmaco efficace? È vero, la non consapevolezza del paziente è il prezzo da pagare perché essa agisca terapeuticamente. Ma il problema rimane. E alcuni studiosi spaccano il capello in quattro e obiettano che un conto è dire a qualcuno che gli stiamo iniettando morfina quando in realtà si tratta di acqua, altro dire che l’acqua gli farà bene. Il dibattito è aperto, anche perché in gioco c’è il ruolo di medicine non convenzionali come l’omeopatia, la cui reale efficacia resta ancora da dimostrare. “Gli studi sulla neuroscienza del placebo ci portano a rifondare su basi scientifiche il rapporto medico-paziente. Restituendo importanza ad aspetti che la medicina moderna, che punta esclusivamente su farmaci e tecnologia, ha trascurato”, spiega Gaetano Di Chiara, neurofarmacologo dell’Università di Cagliari. E per utilizzare le proprietà terapeutiche del “niente che cura” non c’è nemmeno bisogno di ricorrere ad un puro placebo. “I medici possono utilizzare a questo scopo fitoterapici, integratori, e prodotti da banco; tutto dipende dall’attenzione che il medico dedica al paziente, e dall’aspettativa di miglioramento che è in grado di indurre”, sottolinea Di Chiara. 

In ogni caso, per essere efficace il placebo deve essere proposto in modo coerente con le aspettative del paziente: per attivarne l’effetto bisogna essere convinti che quello che ci viene somministrato ci farà bene. “Il nostro organismo ha potenzialità incredibili, e la ricerca sull’effetto placebo potrà dare risultati importanti”, osserva il ricercatore. Anche se finora gli effetti ottenuti sono transitori, e si sa ancora molto poco dell’efficacia a lungo termine. In attesa che la medicina dia una risposta definitiva, il business accelera: E un’azienda americana, la Efficacy Brands, ha messo in vendita Obecalp – placebo scritto all’inverso – tavolette di zucchero masticabili al sapore di ciliegia, proposte come blando tranquillante pediatrico da banco, pensato per ridurre l’uso di principi farmacologici attivi per bambini con lievi disturbi.

 

 

Fonte:l’Espressopecicerone

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