Il Museo Rietberg di Zurigo riscopre e racconta il Benin con la mostra “In dialogo con il Benin: arte, colonialismo, restituzione”. Una mostra dedicata all’antico Regno del Benin, in Nigeria, che pone il tema dei saccheggi avvenuti in epoca coloniale e della restituzione delle opere. Opere che non hanno solo una valenza artistica ma spesso sono oggetti religiosi, e rimarranno in esposizione per il pubblico fino al 16 febbraio 2025
L’esposizione, inaugurata lo scorso 23 Agosto, rimarrà aperta al pubblico fino al 16 febbraio 2025. Una mostra che, in un certo senso, restituisce voce e verità su un regno e il suo popolo .
Un piccolo regno che, geograficamente e territorialmente parlando, oggi corrisponde all’attuale Nigeria. Un regno finito, per diversi anni, nel dimenticatoio: vittima di una “censura” esterna inspiegabile.
Censura della quale, molto spesso, sono vittime Paesi e popolazioni del suddetto Terzo Mondo. Una parte di globo che non ha voce o, semmai ce l’ha, quasi sempre è inosservata ed inascoltata.
“In dialogo con il Benin: arte, colonialismo, restituzione“, sarà aperta al pubblico fino al prossimo 16 febbraio 2025. Le opere esposte appartengono sia al Rietberg di Zurigo che al Musée d’Ethnographie de Neuchâtel.
Un’esposizione che, grazie al lavoro di ricercatori, curatori e co-curatrici, vuole esplorare il passato, il presente, e il futuro del patrimonio culturale del Regno del Benin.
Questa mostra è frutto di una stretta e proficua collaborazione accademica con studiosi nigeriani e rappresentanti della diaspora; è la prima esposizione che osserva l’arte del Benin, studiata a fondo, interpretata e raccontata in chiave storico-culturale.
Si evidenzia il valore di queste opere e si affronta il delicato tema del saccheggio di beni artistici da parte del colonialismo britannico e della loro successiva dispersione nel mercato internazionale, sollevando la questione della restituzione.
Colonialismo e dispersione che cominciano nel 1897
È un anno drammatico per il piccolo Regno africano che subì un’invasione dai contorni molto violenti e drammatici.
Ci fu la conquista dei territori da parte dell’esercito inglese. Il Palazzo Reale fu attaccato e distrutto, il sovrano Ovonramwen fu costretto a scappare e andare in esilio altrove.
Gli inglesi portarono via migliaia di opere d’arte che furono vendute in diversi Paesi stranieri. Fu così che tanti oggetti, frutto di guerre e conquiste, arricchirono i musei europei.
Grazie all’adesione, da parte del Museo Rietberg, all’“Iniziativa Benin Svizzera”, a Zurigo mostra dedicata al Benin, è il momento di porsi una serie di quesiti. Come gestire in modo etico collezioni di oggetti acquisiti durante il periodo coloniale?
Quale ruolo svolgere nella valorizzazione delle storie di perdita, proprietà e memoria?
Come possono essere integrate le prospettive delle società d’origine e della diaspora?
I responsabili del Museo, curatori e curatrici di mostre ed iniziative, hanno risposto direttamente con i fatti: hanno reso visibile la storia di un vecchio Paese, il periodo del colonialismo, hanno dato il via a ricerche per scoprire la provenienza dei manufatti, tracciandone l’origine e il percorso fino alla loro esposizione odierna.
Il Museo Rietberg racconta il Benin: curatori e artisti
Partner nigeriani ed esponenti della diaspora panafricana in Svizzera hanno avuto il loro ruolo cruciale nell’organizzazione ed esposizione di questa mostra che ha, come curatrici di spicco, personalità del calibro di Josephine Ebiuwa Abbe, Solange Mbanefo, Michaela Oberhofer ed Esther Tisa Francini.
Insieme, hanno contribuito allo sviluppo dei contenuti e della struttura della mostra, raccogliendo filmati e interviste con esperti e studiosi che spiegano la loro visione su questo enorme patrimonio culturale.
Il museo ha commissionato diverse opere nei laboratori di Benin City, mentre artisti come Cherry-Ann Morgan e Kwaku Opoku hanno esplorato e rielaborato temi fondamentali come la memoria e l’identità.
Il perché di questa mostra: parola alle curatrici
“Ciò che mi interessa di questa mostra è l’opportunità di parlare della mia cultura in prima persona, e non tramite ciò che altri mi hanno raccontato”. Josephine Ebiuwa Abbe, co-curatrice ed esperta di discipline teatrali, docente all’Università del Benin, Benin City, 2023
“Fin dall’inizio la prospettiva multipla è stata un punto centrale della mostra e secondo me anche un’opportunità per portare avanti il processo di decolonizzazione”. – Solange Mbanefo, co-curatrice e architetto, Lucerna, 2023
“La storia non riguarda solo ciò che è stato, ma anche ciò che è. Quegli oggetti raccontano ancora la loro storia e continueranno a farlo domani”. – Enibokun Uzébu-Imarhiagbe, storica, docente dell’Università del Benin, Benin City, 2023
“Per me, toccare questi oggetti è una cosa più spirituale che fisica: essi rappresentano la nostra storia e la nostra anim”. – Patrick Oronsaye, artista e storico dell’arte, 2023
“Vedere queste opere in un museo mi incoraggia a sperare in un futuro migliore”. – Phil Omodamwen, fonditore di sesta generazione, Benin City, 2023
“Ho un legame personale con questi oggetti, che hanno avuto un’influenza sulla mia arte e sulla mia creatività. – Samson Ogiamen, artista e mediatore culturale, Graz, 2023
Il Museo Rietberg racconta il Benin: allestimento e percorso espositivo
Per l’allestimento della mostra, il Museo Rietberg ha collaborato per la prima volta con l’architetta svizzero-nigeriana, Solange Mbanefo.
La Mbanefo ha realizzato un design ispirato alla visione del Regno del Benin. Gli spazi espositivi richiamano i cortili illuminati del Palazzo Reale mentre il rosso corallo, simbolo della regalità, domina l’ambiente.
Le opere sono posizionate come nelle loro collocazioni originali, su colonne e altari ancestrali.
Le aree dedicate alla “biografia” delle opere presentano invece colori verde-azzurro, evocando l’acqua e il Dio del mare, Olokun, che simboleggia anche i forti legami storici tra il Benin e un altro Paese da noi conosciuto, il Portogallo.
Per quanto riguarda, invece, il percorso espositivo quest’ultimo inizia con una fotografia di Omoregie Osakpolor, raffigurante Igun Street, centro artistico e sede delle corporazioni di fonditori a Benin City. Seguono narrazioni sugli eventi a partire sempre dal 1897, l’anno del “saccheggio inglese”. Saccheggio che, in Nigeria, fu d’ispirazione per la produzione di un film che ha voluto, fortemente, raccontare quella fase di storia.
Canti funebri e una nuova scultura in ottone commemorano il dolore di un’intera comunità per questi brutali eventi. La mostra è strutturata in quattro isole tematiche che possiamo definire così: la memoria, i rituali, il prestigio e la produzione artistica.
Servizio a cura di Marco Chinicò
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