Memoria del dolore
Memoria Del Dolore

La pandemia da SARS-CoV2-2 ha sicuramente complicato la gestione delle patologie acute e croniche, che affliggono la popolazione italiana. In questo contesto non deve essere dimenticato il dolore muscolo scheletrico cronico, che non può più essere considerato come semplice sintomo di una malattia, ma dovrebbe essere classificato come una patologia vera e propria da diagnosticare con scale di valutazione validate e condivise, da trattare con appropriatezza, secondo percorsi diagnostico terapeutici definiti con team multidisciplinari.

Le localizzazioni del dolore cronico muscolo scheletrico sono la parte superiore e inferiore della schiena, il capo, il collo e le articolazioni, principalmente il ginocchio. Il dolore cronico è più frequente nell’anziano, nella popolazione a basso reddito e tra le donne. Le cause che possono determinare il dolore cronico sono molteplici, tra le più comuni: l’artrosi e le artriti (nel 42% dei casi), le lombalgie, i dolori delle spalle e del collo, i disturbi del disco intervertebrale, le fratture, le cefalee, le sindromi da dolore delle fasce muscolari. Secondo i dati dell’osservatorio sul dolore cronico in Italia è un problema che riguarda il 26% della popolazione italiana, mentre la percentuale sale al 74% se si considera la fascia di popolazione compresa tra i 60 e gli 80 anni.Farmaci per il dolore&Covid-19. Dal punto di vista clinico è nota la riposta del sistema immunitario rispetto all’interazione tra farmaci antidolorifici e il COVID-19, con particolare riferimento a farmaci oppioidi, antiinfiammatori steroidei e non steroidei. In generale gli esperti sottolineano come vada tenuto sempre in considerazione l’effetto soppressivo che queste classi di farmaci hanno sul sistema immunitario, che però non devono indurre i pazienti ad interruzioni improvvise delle terapie, né tantomeno evitare nuove prescrizioni. Analizzando le diverse categorie di farmaci, e partendo dagli oppioidi, previo un consulto con il proprio medico di riferimento, un atteggiamento ragionevole potrebbe essere quello di prevedere la riduzione dei dosaggi nei soggetti già in terapia o utilizzare oppioidi a breve durata d’azione. Per quanto riguarda gli antidolorifici steroidei, in questo caso l’effetto depressivo della risposta immunitaria (tuttavia ridotto nella somministrazione intra-articolare) potrebbe essere addirittura considerato favorevole per ridurre il rischio di sviluppare la cosiddetta “tempesta immunitaria” elemento cruciale della polmonite interstiziale da COVID-19 ed altre manifestazioni cliniche. Tuttavia l’effetto dei corticosteroidi nei soggetti con COVID-19 è ancora dibattuto. Ulteriore oggetto di discussione è stato l’utilizzo di farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) sul quale si è da tempo espressa l’agenzia europea del farmaco che ha pubblicato una comunicazione che evidenzia come non vi siano prove scientifiche che stabiliscano una correlazione tra i farmaci a base di Ibuprofene o Ketoprofene e il peggioramento del decorso della malattia da COVID-19.

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