Loquendum di Ettore Panella

E se Facebook finisse in mani criminali? Da questa domanda prende avvio la vicenda narrata in Loquendum, romanzo d’azione con cui l’autore vuole invitarci a riflettere sulle ipotetiche conseguenze del transito di un colosso social nelle mani sbagliate. La storia ci proietta nel 2025, anno in cui, in seguito ad un’ incredibile scalata in borsa, Facebook cambia padrone e anche nome, diventando New-facebook. Il romanzo, classificato come thriller dalla casa editrice, ci coinvolge in un crescendo di azione, tenendoci col fiato sospeso. Si avvale di un linguaggio immediato per comunicazione, dove i termini tecnici sono limitati allo stretto necessario e, utilizzati col supporto di note che li chiariscono, a beneficio di un’ agevole comprensione. Una piacevole lettura che spinge a riflettere su temi che ci coinvolgono tutti. Nell’intervista riportata di seguito all’autore, Ettore Panella, proveremo a capire meglio la dinamica che anima questo romanzo.

Sappiamo che lavori con Internet dal 1995 e hai portato la rete nella tua città, Salerno, e che tutt’ora sei impegnato nel facilitare le aziende nell’utilizzo di questo mezzo per le loro finalità. Hai vissuto in questi  anni tutti gli enormi cambiamenti di Internet così come quelli della nostra società, parlaci della tua esperienza.
Lavoro con Internet  dal 1995. In questi 27 anni abbiamo assistito ad un’evoluzione tecnica accelerata rispetto all’epoca in cui ho iniziato la mia attività, allorquando lo standard per trasmettere erano i modem 14.4K e per visualizzare un’immagine s’impiegava più tempo di quanto ne occorra oggi per scaricare un filmato. Un abisso. Per me, Internet è stato qualcosa di più di un lavoro. Ho fatto parte di diverse associazioni, della Naming Authority, dell’associazione di categoria, perché ad interessarmi erano anche le ricadute sociali di questo promettente strumento. Per quanto riguarda il romanzo, l’anno di svolta che determina i fatti narrati è il 2026 quando New-facebook, con i suoi quattro miliardi di iscritti, è il social dominante ed è di proprietà di un gruppo che non si ferma davanti a niente pur di eliminare tutto ciò che ostacola i suoi progetti, una sorta di P2 internazionale in cui confluiscono diversi potentati economici. Analogamente a quanto già avvenuto negli anni ’90 con l’esperienza open source, alcuni studenti, docenti, ricercatori e appassionati decidono di costruire un social libero, dove al singolo iscritto si riconoscono dei diritti in quanto gli si riconosce lo status di socio e non solo di ospite, come in New-facebook. Loquendum è il nome di questo nuovo social.

Cosa ti ha spinto oggi a scrivere questo romanzo, Loquendum, e perché questo titolo?
Cosa mi ha spinto a scrivere il romanzo? Nel 2014 mi resi conto che Facebook avrebbe potuto diventare un serio problema in futuro e buttai giù alcune idee per sviluppare un social concorrente, basato però su un modello di funzionamento diverso. Lo proposi a diversi enti e gruppi, ma alla fine mi scontravo sempre con la stessa obiezione: Facebook è un competitor troppo forte e comunque i social sono un impegno notevolmente ingrato. Deluso decisi di abbandonare quel progetto e mi concentrai solo sulle mie questioni lavorative, lasciando da parte ogni attività nelle associazioni. Quando Trump fu bannato da Facebook la notizia mi colpì, evidenziando che le cose stavano addirittura peggio di quanto avessi immaginato. Se avevano bannato un personaggio che disponeva di una valigetta in grado di distrugge il mondo, che cosa avrebbero potuto porre in atto nei confronti di un qualsiasi Pinco Pallino? Sentii l’impulso di mettere in atto un qualche tipo di risposta e decisi di scrivere questo romanzo, la cui materia risulta proprio la criticità che l’attuale modello incarnato da Facebook, ma non solo, comporta e cosa rappresenti per l’umanità.

Ritieni, quindi, che il ban di Trump sia stata ingiusto?
Per me, il fatto in sé è del tutto irrilevante, ma rileva al contrario che attualmente la giustizia sui social sia paragonabile al linciaggio. Capita che un tizio ti accusa , oppure a farlo è un software, e tu vieni condannato senza poterti realmente difendere, come avveniva in alcune parti del mondo in passato e forse ancora oggi. Siamo disposti a considerare la cosa normale?
Quando pensiamo ad un atto di giustizia, la nostra cultura, basata sui codici e sulle pratiche legislative, contempla l’interrelazione di fattori quali l’accusa, la difesa e un giudice terzo alla vicenda. Orbene la cancellazione dell’account è da intendersi comunque come un atto di giustizia, amministrata però direttamente dal proprietario del social e caratterizzata dalla mancanza di contraddittorio.
L’errore del concentrarsi sulla vicenda di Trump, persona con un suo seguito consolidato che, quindi, trarrà addirittura vantaggio dalla cancellazione del suo account, è che non ci porta a considerare il caso di un eventuale politico emergente, ancora all’inizio della carriera, che, pur di non compromettere la sua ascesa, voterebbe qualsiasi cosa fosse nell’interesse di chi gli accordasse visibilità. Alcuni sospettano altresì l’esistenza di un deplatform subdolo, in cui non si ha coscienza di essere diventati invisibili, nonostante la propria visibilità sui social sia stata fortemente ridotta ed i post pubblicati siano visti da nessuno o quasi. Io non so se Facebook attui realmente o meno simili ritorsioni, ma dà da pensare il semplice fatto che possa farlo e che, se il proprietario del social fosse un gruppo senza troppi scrupoli, questi potrebbero abbassare la visibilità di un politico del 20% ed alzarla della stessa percentuale al suo concorrente, condizionando fortemente una prova elettorale.

Non ti sembra esagerato paragonare la cancellazione da un social ad un atto di gestione della giustizia?
L’idea che un social sia qualcosa di poco rilevante, secondo me, è sbagliata. Già prima del 2020 c’era una tendenza forte verso la virtualizzazione dei rapporti umani, ma con la pandemia il fenomeno ha subito un’ accelerazione molto marcata. Sempre più spesso vedi, ad esempio, al tavolo di un ristorante persone mangiare insieme, sedute allo stesso tavolo, ma ognuna concentrata sul proprio telefonino. Non si parla più con il vicino, ma con qualcuno lontano, visibile su di uno schermo. Ora, se la mia rete sociale è affidata al social, se gli aspetti emotivo relazionali della mia vita sono mediati dal social, allora cancellandomi, anche solo per una settimana, mi arrechi un danno non da poco. Con questo non dico che io approvi questa virtualizzazione estrema, ma registro una tendenza.

Essendo un thriller non vogliamo discutere di ciò che avviene nel romanzo, per non togliere al lettore la possibilità di godersi pienamente la lettura, però ho notato che nel testo ci sono delle interessanti idee, spunti di riflessione…
I protagonisti della storia stanno realizzando un social, ne parlano, a proposito di ciò che occorra fare, non da un punto di vista tecnico, ho cercato di evitare gli aspetti tecnici ovunque possibile, ma dal punto di vista dell’amministrazione. Così, ad esempio, in tema di giudizio sulle opinioni, ci si porrà il problema dell’obiettività di un giudice di sinistra chiamato a giudicare un’opinione di destra o viceversa? Io mi sono posto il problema e ho azzardato una possibile soluzione, in realtà lo lascio fare ai ragazzi nel libro. Ci tengo a chiarire che il mio scopo non era quello di offrire soluzioni ai problemi, ma di invitare ad una riflessione, poi, se qualcuno riesce a servirsi di strumenti migliori per farlo, non posso che esserne felice.

Senza entrare nei dettagli della vicenda, puoi parlarci un po’ dei personaggi? Presentarceli? Cerchiamo di inquadrarli nella loro umanità.
Nel romanzo i “ribelli” sono divisi in dieci gruppi, anche se io ho raccontato principalmente le disavventure del gruppo 10. Il grosso dei personaggi del romanzo sono giovani studenti. Si tratta di ragazzi normali che hanno ideali, ma anche dubbi e paura, quando il confronto col gruppo criminale diventa uno scontro violento. Ragazzi come se ne potrebbero incontrare tanti, che però si trovano ad affrontare difficoltà impreviste e situazioni più grandi di loro. La loro ad un certo punto diventa una lotta per la sopravvivenza che li costringerà a crescere in fretta.
Nel sottotitolo ho inserito tre parole chiave che in qualche modo indicano il contenuto del romanzo: amore sangue e socialnetwork.

  • Socialnetwork, perché tutta la vicenda è condizionata da questo strumento
  • Sangue, perché nel romanzo c’è molta azione e violenza, per cui, ahimè, se ne spargerà
  • Amore, perché parlare di ventenni e non parlare dei loro amori non sarebbe credibile

Il filo conduttore che riscalda la vicenda è la storia d’amore tra Silvia e Romolo, due ragazzi del gruppo 10. A questa prima storia se ne affianca una seconda, tra un ragazzo dello stesso gruppo, costretto su sedia a rotelle e una ragazza nelle sue stesse condizioni, che però ignora il fatto che il suo innamorato sia coinvolto in Loquendum. Questa seconda storia così particolare mi dà la possibilità di invitare il lettore a considerare cosa significhi, per chi dipende totalmente dal virtuale, perdere questa forma di supporto all’improvviso, di quale evento devastante possa essere sotto l’aspetto umano.
Il limite di tre parole chiave mi ha costretto a sacrificare un termine altrettanto importante: amicizia. Tra i ragazzi si instaura una profonda amicizia, un legame molto intenso, rinsaldato dalla presenza del rischio per le loro vite.

Quanto la tua passione per la psicologia evoluzionistica e la storia hanno influito sul romanzo?
Non poco. Parlare di dinamiche umane vuol dire sempre e comunque evidenziare delle linee evolutive comportamentali che determinano le interazioni tra gruppi e singoli, imprescindibili, se si vuole essere credibili nel raccontare.

Hai affermato di non aver inventato nulla, ma di aver attinto da esperienze reali del passato, trasposte in un futuro molto vicino a noi. Non temi di poter cadere nell’atteggiamento tipico dei non più giovani, che guardano ai loro tempi con eccessiva indulgenza, idealizzandoli come una specie di Eden?
Onestamente era una delle cose che temevo maggiormente, però è vero che io mi pongo con sguardo critico verso la mia generazione di operatori Internet. Se all’epoca la nostra principale preoccupazione era che una multinazionale potesse “possedere Internet” e poi, venticinque anni dopo, constatiamo che questo si è realizzato, con l’evidente potere esercitato dalle big tech sulla rete, allora dobbiamo ammettere che abbiamo fallito. All’inizio Internet era considerata da popolazione e politici poco più che un giocattolo, in cui nessuno credeva veramente. La generazione che dal ‘95 al ‘98 ha lavorato con questo strumento avrebbe potuto creare gli anticorpi a tutto quello che oggi vediamo, ma non è stata capace di farlo.
Poiché l’idea sottesa all’intero romanzo è: “Un altro modello di socialnetwork è possibile”, ho voluto fare riferimento a esperienze del passato, condotte anche con un discreto successo, proprio per rimarcare che, se è stato possibile in passato, si può rifare ancora.

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