Canti alpini
Il Corpo degli Alpini, appartenente all’Esercito Italiano, è nato a fine ottocento, più precisamente il 1872, e nel corso del tempo troviamo numerosi canti di guerra: molti parlano delle battaglie, altri sono un inno all’Italia o al valore alpino; molti, però sono veramente toccanti, mettendo in risalto gli aspetti più crudi della guerra: la morte del capitano, il dolore dei soldati, la crudeltà degli imperatori e quasi sempre la morte di tanti soldati giovani sui vent’anni.
Da sempre la musica con motivi popolari ha accompagnarono la vita dei soldati, cantati in coro durante i bivacchi, le lunghe marce, come rimedio alla stanchezza e alla lontananza da casa, ma pure nell’infuriare della battaglia per trovare il coraggio e lo slancio. Già gli antichi guerrieri greci intonavano i peana, canti in onore di Apollo salvatore e risanatore, ed ebbero autori famosi come i poeti Pindaro, Simonide e Bacchilide.
I legionari romani usavano canti di guerra e di trionfo nei quali celebravano i loro condottieri, ma altre volte li sfottevano. Giulio Cesare era soprannominato “zucca pelata”. Pensate che nell’alto Medioevo, i difensori delle città padane contro l’invasione dei barbari Ungari, inventano canti a botta e risposta.
La prima frase viene pronunciata dal capo delle milizie, la seconda dal coro di tutti gli altri militi. Questa fu cantata sulle mura di Modena nell’anno 892: “Fortis iuventus Virtus audax bellica/ Vestra per muros Audiantur carmina/ Et sit in armis Alterna vigilia/ Ne fraus hostilis Haec invadat moenia/ Resultet echo Comes eia vigila/ Per muros eia Dicat echo vigila./ Forte gioventù Audace per la virtù di guerra / Sulle vostre mura Si sentano i nostri canti/ E stia in armi Sempre la sentinella/ Perché la sorpresa del nemico / Non sorprenda le mura/ Risponda l’eco “Commilitone ehi vigila” Sui muri: “Ehi” Risponda l’eco “Vigila”. Dalla fine del XV secolo e per tutto il ‘500 L’Italia è campo di battaglia per gli eserciti francesi, spagnoli e imperiali, i terribili lanzichenecchi.
Gli italiani assoldati come mercenari dall’una o dall’altra parte hanno il loro simbolo nel grottesco Scaramella, nome fittizio perché nel nord Italia designa un uomo magro, deboluccio e morto di fame. Ecco la canzone ironica cantata allora: “Scaramella va alla guerra con la lancia e la rotella (scudo)/ La zombero boro borombetta, la boro borombo./ Scaramella fa la gala colla scarpa et la stivale/ La zombero boro borombo la zombero borombetta. In Piemonte il marchese di Saluzzo Michele Antonio regna dal 1504 al 1528, valente guerriero, è capitano generale a capo dell’armata francese che tenta la conquista del regno di Napoli contro gli spagnoli.
Viene però sconfitto ad Aversa, ferito e preso prigioniero. Benché trattato con riguardo e curato, Michele Antonio peggiora, e sentendo vicina la fine detta le sue ultime volontà chiede che il suo corpo sia seppellito nella chiesa di Aracoeli in Roma, ma il cuore, imbalsamato, venga portato presso le tombe di suoi antenati nel duomo di Saluzzo.
Il cuore era considerato la sede dell’anima. Questo fatto stuzzica la fantasia dei contemporanei e nasce la ballata del Testamento del capitano di Saluzzo, in dialetto piemontese. Quasi quattro secoli dopo gli alpini la tradurranno in italiano durante la grande guerra, facendola diventare il ben noto Testamento del capitano, nel quale il corpo del capitano stesso viene diviso in cinque parti da distribuire a chi ha più amato: la Patria, il battaglione, la madre, la fidanzata e le montagne.
Sul tema ironico come Scaramella è divertente La marcia del principe Tommaso durante la la guerra dei Trentanni nel 1640, in Piemonte guerra civile tra Madamisti e Principisti, dove il principe Tommaso di Savoia-Carignano dalla Lombardia entra in Piemonte alla testa di un esercito spagnolo. Bene accolto dalla popolazione occupa Torino senza colpo ferire e scaccia la cognata Maria Cristina, figlia del re di Francia e reggente del ducato di Savoia.
Le sue mire infine falliscono, perché un esercito francese mandato dal cardinale Richelieu lo assedierà in Torino stessa, e l’ironia è d’obbligo: “Principe Tommaso vien da Milan/ Con la brigata degli scalzacan/Scalza di qua, scalza di là/ Viva i soldati del principe Tomà. Il duca John Churcill duca di Marlborough, 1650-1722, condottiero delle truppe inglesi, alleato dei Piemontesi durante l’assedio di Torino, molte volte vittorioso in Belgio contro i francesi viene ricordato con questa canzoncina popolare dai francesi durante le guerre napoleoniche: “Marlbrough s’en va-t-en guerre,/ Mironton, mironton, mirontaine,/ Marlbrough s’en va-t-en guerre,/ Ne sait quand reviendra./ Il reviendra z’à Pâques,/ Mironton, mironton, mirontaine,/ Il reviendra z’à Pâques/ Ou à la Trinité./ In questa canzone la moglie di Marlbrough è invitata a indossare un abito nero, perché sta per diventare assai presto vedova… La melodia della canzone fu adottata in Gran Bretagna, dove la si canta con le parole “For he is a jolly good fellow… perché è un bravo ragazzo”.
Se il duca John Churcill duca di Marlborough è un personaggio storico, assolutamente immaginario è Yankee Doodle, parente stretto dei folli Gribouille francese e del nostro piemontese Gribuja che sbarcati nel nuovo mondo sono diventati Yankee, cioè americano: “ Yankee Doodle keep it up/ Yankee Doodle dandy/ Mind the music and the step/ And with the girls be handy./ Scarabocchio Americano va forte/ Scarabocchio Americano il gran figo/ Sa la musica e la danza/ E piace alle ragazze. I ribelli americani inquadrati nell’esercito regolare o come volontari in azioni di guerriglia dal l 1776 al 1782 combattono sotto gli ordini di George Washington per l’indipendenza americana e, cantano le imprese di Yankee Doodle al suono dei pifferi e dei tamburi, per irridere le impeccabili giubbe rosse di re Giorgio III Inglese.
Subito dopo la rivoluzione americana scoppia quella francese e Rouget de Lisle scrive una coinvolgente canzone, il Canto dell’armata del Reno, che prenderà il nome di Marsigliese, successivamente l’inno della nazione francese. Allora cantare la Marsigliese voleva dire di sposare idee repubblicane, ma la nuova libertà imposta con la forza non sempre è gradita ai popoli conquistati da Napoleone. Nel sud Italia si risponde con la rivolta Sanfedista si canta questo controcanto ai francesi con briganti come Michele Pezza detto Frà Diavolo che capeggiano la rivolta, la repubblica Partenopea: “A lu suono e’la grancascia viva lu popolo bascio/ A lu suono e’tamburielle so’ rinate e’puverielle/ A lu suono e’la campana, viva viva li pupulana/ A lu suono e’ li viuline morte alli giacubbine./ Sona sona, sona carmagnola/ Sona a li cunsiglie viva o’re cu la famiglia./” Ed ecco che arriviamo al Risorgimento dove persino Giuseppe Verdi con Và pensiero assume significati indipendentisti.
La canzone militare che otterrà maggior successo, sarà invece del tutto apolitica, infatti parla di una ragazza lungamente sognata dai soldati, la frizzante e pepata Bella Gigogin: “ Rataplan, non ho paura/ delle bombe e dei cannoni/ io vado alla ventura/ sarà poi quel che sarà!/ E la Bella Gigogin/ Trullallero trullallero/ La va a spass co l’so spusin/ Trullallero trullallà. Nello periodo negli Stati Uniti avveniva la guerra di secessione. I soldati nordisti marciano cantando There was an old soldier, When Johnny comes marching home, e la celebre: “ John Brown’s body lies a-mouldering in the grave/ His soul’s marching on! Glory, glory, hallelujah! Glory, glory, hallelujah!/ Glory, glory, hallelujah! his soul’s marching on!/ Con la replica dei confederati, detti sudisti o ribelli con altri famosi e orecchiabili motivi come Yellow rose of Texas e l’inno non ufficiale degli stati confederati: “Advance the flag of Dixie/ Hurrah, Hurrah,/ For Dixie’s land we take our stand/ And live or die for Dixie.” Arriviamo nel ventesimo secolo con ben due terribili guerre mondiali piene di musiche. All’entrata in guerra dell’Italia l’aria preferita è quella del soldato napoletano innamorato: “Oje vita, oje vita mia…/ Oje cor ‘e chistu core…/ Si stata ‘o primmo ammore…/ E ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me!”. I valorosi alpini sono meno romantici, nei loro canti c’è il senso del sacrificio e della durezza della guerra: “Trenta giorni sull’Ortigara/ Senza il cambio per dismontà/ Ta pum, ta pum, ta pum.” Sul fronte francese a Verdun e sulla Somme gli inglesi cantano con nostalgia: “ Agosto1914:“It’s a long way to Tipperary,/ It’s a long way to go./ It’s a long way to Tipperary To the sweetest girl I know!/ Goodbye Piccadilly,/ Farewell Leicester Square! It’s a long long way to Tipperary,/ But my heart’s right there.”La canzone si riferisce all’Irlanda. Tipperary è un borgo nel sud dell’isola, l’emigrato irlandese a Londra lascia volentieri la metropoli per ritornare al paese dove la fidanzata Molly lo aspetta.
I francesi cantano della della cantiniera Madelon, qui c’è la tradizione del periodo Napoleonico con le vivandiere, che seguirono l’armata francese in ogni parte d’Europa, e pagarono il loro tributo di sofferenza e di sangue, specie durante la campagna di Russia: “Quand Madelon vient nous servir à boire/ Sous la tonnelle frole son jupon/ Et chacun lui raconte une histoire/ Une histoire a sa façon.” I tedeschi dalle trincee avverse rispondono: Die alten Kameraden sind Heute wieder stark,/ Die alten Kameraden sind wieder an der Macht,/ Wieder aus auf Kriege, auf Ehre und auf Ruhm,/ Die alten Kameraden träumen wieder vom deutschen Heldentum.
Nulla si è reperito dalle armate Austroungariche ma, molto più delle parole, e di qualsiasi descrizione vale il rumore ritmato delle fucilate. Fece furore nelle trincee italiane una canzone scritta nel 1909 da due studenti universitari torinesi, Nino Oxilia e Giuseppe Blanc, una una canzone goliardica per i laureandi di quell’anno, intitolata Il Commiato, ma diventati ufficiali durante la guerra, i due diffonderanno il loro motivetto, che verrà volentieri cantato al fronte, specie per l’allegro ritornello: “ Giovinezza, giovinezza/ Primavera di bellezza/ Della vita nell’ebbrezza/ Il tuo canto squilla e va.” Canzone adottata dagli Arditi e dopo la guerra dagli squadristi di Mussolini, che si appropia della canzone trasformata nel testo per diventare inno politico ufficiale del fascismo. Verso la fine della guerra, il fallimento della battaglia di sfondamento sul Piave da parte degli austro-ungarici, fine giugno 1918) ispirò il maestro napoletano Giovanni Ermete Gaeta, in arte E.A.Mario, creò il più celebre motivo di tutta la prima guerra mondiale, la Leggenda del Piave, troppo ben conosciuta per essere trascritta, che ebbe un notevole impatto morale in tutta la nazione in armi e non, definito dal capo di stato maggiore, generale Armando Diaz che era stato un generale in più per tutto l’esercito. Durante il fascismo durante la guerra in Etiopia del 1935-36 la celebre Faccetta nera: “ Faccetta nera, bella abissina/ Aspetta e spera che già l’ora si avvicina…Durante la guerra civile spagnola i repubblicani cantano: “El Ejército del Ebro,/ Rumba la rumba la rumba la./ Una noche el río pasó,/ ¡Ay Carmela! ¡Ay Carmela!,/ Y a las tropas invasoras,/ Rumba la rumba la rumba la./ Buena paliza les dio..”. Mentre i franchisti con sfrontata arroganza mettono il vestito della festa per andare in battaglia: “Cara al sol con la camisa nueva/ Que tú bordaste en rojo ayer,/ Me hallará la muerte si me lleva/ Y no te vuelvo a ver.”. Durante la seconda guerra mondiale gli alpini relalisti sulla guerra e fuori dalla propaganda ufficiale cantano: “Sul ponte di Perati bandiera nera/ È il lutto degli alpini che fan la guera/ Quelli che son partiti non son tornati/ Sui monti della Grecia sono restati… “ Anche i tedeschi della Wehrmacht, dopo l’iniziale euforia delle prime fulmineevittorie si rendono conto dell’orribile guerra e cantano una canzone nostalgica che si diffonderà tra gli eserciti di quasi tutti i belligeranti: “Tutte le sere sotto quel fanal/ Presso la caserma ti stavo ad aspettar./ Anche stasera aspetterò,/ E tutto il mondo scorderò/ Con te Lili Marleen./”. Nel 1943 con il crollo del fascismo in Italia, I partigiani sanno che il loro sacrificio potrà in qualche modo riscattare l’Italia: “ O bella ciao, bella ciao/ È questo il fiore del partigiano morto per la libertà.”.
Gli ultimi fascisti irridicibili della repubblica sociale italiana sono ormai certi della sconfitta, e non ne fanno mistero e cantano: “Le donne non ci vogliono più bene/ Perché portiamo la camicia nera/ Han detto che siamo da catene/ Hanno detto che siamo da galera.” E poi…gli alleati vittoriosi hanno portato lo swing e il boogie woogie ma non più canti. Poi altre lunghe guerre infesteranno il mondo ma non ci sono più canzoni che parlono della guerra, solo più la musica commerciale che ha invaso l’etere oppure il nuovo modo di pensare che bolla le canzoni dei soldati come non politicamente corretto e poi cantiamo tutti di meno e guardiamo o meglio, molti trovano troppa fatica far uscire la voce rispetto all’infilarsi nelle orecchie la cuffietta di un i-pod. V
iviamo in una società che ha perduto la voglia di socializzare, ed invece il coro è allegria anche per uno stonato come il sottoscritto. In conclusione mi chiedo se il vero movimento dell’armonia nel mondo non sia proprio il canto che ci fa riscoprire esseri umani. Perché cantare è un modo per ricordarsi di respirare e il mito degli Alpini si concretizza dunque anche attraverso i suoi cori e canzoni come ottima vitamina per riannodare i rapporti umani.
