Ed ecco per la prima volta nella sua sterminata carriera operistica Pier Luigi Pizzi alle prese con l’amato Donizetti e la sua celeberrima Anna Bolena.
Opera che debuttò al Teatro Carcano di Milano il 26 dicembre del 1830.
E fu allora che si rese tangibile la fama di Donizetti che fino ad allora non aveva ancora avuto modo di distinguersi adeguatamente.
Anche se per tanti anni, pur avendo avuto notevoli riscontri dagli storici e dai biografi del settore, non fu più messa in scena e uscì dal repertorio operistico.
Fino ad arrivare al 1957 con la grandiosa ripresa al Teatro La Scala di quest’opera con la regia di Luchino Visconti e con la protagonista Maria Callas. Che ne decretò un successo grandioso.
Quest’anno il mitico ormai novantacinquenne Pier Luigi Pizzi ha portato in scena, con il suo impeccabile stile, al Teatro La Fenice, questo capolavoro d’opera che lui definisce ‘di cantanti’.
“In esse tutto quello che succede è pretestuoso”, ci racconta il regista, “ed è principalmente un’occasione per far esplodere il bel canto, dove l’ambientazione serve ad orientare il pubblico perché sappia dove ci troviamo e ai personaggi perché non siano lasciati nel vuoto“.
Anna Bolena a Venezia con un cast d’eccezione
E l’ambientazione è fondamentale per far agire con la giusta concentrazione l’intero cast, a cominciare dalla bravissima soprano Lidia Fridman, nel ruolo della protagonista. che ha saputo restituircela con ineguagliabile perizia di mezzi toni, per non parlare della Giovanna Seymour, damigella di Anna, impersonata perfettamente da Carmela Remigio, e dall’Enrico VIII re d’Inghilterra, (il pregevole basso-baritono Alex Esposito) super donnaiolo imperterrito.
La direzione musicale di Renato Balsadonna ci ha immerso nell’armonioso equilibrio della scena ideata da Pizzi con quell’assenza d’ogni particolare goffo e molesto, quel senso confortevole di benessere che dà la presenza vigile della cultura e del gusto che a Pier Luigi Pizzi di certo non mancano.
Il segreto di Anna Bolena è quantitativo: ricchezza e continuità dell’invenzione musicale. La classica perfezione dello strumentale, capace di suadentissimi suggerimenti timbrici, la nervosa e risentita efficacia di quasi tutte le introduzioni e i raccordi orchestrali, la curiosa qualità beethoveniana d’alcuni passi come il delicato incontro di Anna con l’antico innamorato Percy, interpretato da Enea Scala, che ha qualcosa del clima dei primi “andanti beethoveniani, con quel lento palpito ritmico che sostiene il bel coro femminile perfettamente diretto da da Alfonso Caiani, d’apertura all’ultima scena.
Pier Luigi Pizzi ha affrontato quest’opera di Donizetti senza stravolgere la storia e i contenuti essendo l’opera basata su personaggi storici: Anna Bolena, Giovanna Seymour Enrico VII, di cui tutti ricordiamo il famoso ritratto di Hans Holbein. pittore di corte del Re.
Spiega Pier Luigi Pizzi:
“Anche se io in passato ho realizzato regie marcatamente contemporanee, in questo caso ho pensato giustamente di metterla in scena com’è stata composta. E ho rispettato la partitura, il libretto di Felice Romani. Ho lavorato per sottrazione per dare maggior spazio alla psicologia dei personaggi, creando attorno un profondo clima drammatico“.
“Ho voluto ambientare l’opera all’interno di una grande struttura di legno ispirata a un’architettura tardogotica. Ed è proprio a partire dalle nervature dello stile gotico che ho ricavato una sorte di grande gabbia, che alla fine diventa addirittura carcere… Ma in definitiva lo è già dall’inizio“, ci racconta il regista.
“Ho voluto in questo modo sottolineare quel senso claustrofobico e oppressivo, che caratterizza tutta la storia. Per quanto riguarda i costumi, ripeto che possono non essere storicamente Tudor, ma stilizzati in modo da percepire il senso di un’epoca“.
L’opera in breve
L’essenza di questo dramma secondo Pizzi è la scelta che compie Anna Bolena. Una scelta determinata e irreversibile, sacrificare l’amore per il potere. Voleva diventare regina d’Inghilterra e c’è riuscita. Ha così segnato la sua tragica sorte. Pizzi ha saputo splendidamente restituirci, grazie a un grande cast, tutti i personaggi con i loro tragici destini. Nessuno si salva, tranne il Re, tiranno civico, sessualmente perverso e crudele.
Percy ha perso l’amore di Anna e perderà anche la testa. Rochefort (l’ottimo basso-baritono William Corrò), il fratello di Anna, ha aiutato la sorella a compiere la sua ambiziosa scelta politica e ne paga la conseguenza con la sua testa. Smeton (la brava Manuela Custer) si illude di far breccia nel cuore della regina di cui è innamorato, però poi si perde, e giù la testa. Giovanna, ripercorre le orme di Anna, e avrà lo stesso tragico destino. Sono tutti personaggi negativi, senza alcuna logica o dirittura morale, che eviterebbero scelte disastrose, in una corte sinistra, dove regna una sorte di funesto malessere. Questi fallimenti, solitudini, incomprensioni, ci ricorda il regista, permettono a ciascuno di noi di potersi riconoscere nei personaggi rendendo l’opera attuale.
Pizzi anche questa volta è riuscito a emozionarci. A toccarci dentro, a farci uscire dalla sala con un profondo motivo di riflessione. Dopo fragorosi minuti e minuti di applausi.
Questo proprio grazie alla sua magistrale regia che tiene conto nel metterla a punto del dialogo costante col direttore e il cast.
Sergio Buttiglieri
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