Lo scorso 6 aprile è stata pubblicata una sentenza della VI sezione della Cassazione Civile in tema di diritto di famiglia che certamente farà discutere a tutti i livelli. Come tutti ben sanno quando due coniugi si separano può essere chiesto da uno dei due il cosiddetto addebito. In estrema sintesi e senza entrare in tecnicismi l’addebito della separazione è una conseguenza giuridica della violazione da parte di uno dei due coniugi dei doveri di cui all’articolo 143 del codice civile. Dal matrimonio infatti derivano, secondo il suddetto articolo i seguenti obblighi:
- di fedeltà reciproca;
- di assistenza morale;
- di assistenza materiale;
- di collaborazione nell’interesse della famiglia;
- di coabitazione.
L’inadempimento di uno solo dei predetti doveri coniugali determinerà la possibilità per il coniuge che ne faccia richiesta, di chiedere e ottenere l’addebito. Ciò è possibile, ovviamente, soltanto nell’ambito di un procedimento di separazione giudiziale e non in quella consensuale. Usualmente quindi i responsi dei tribunali prima e della Suprema Corte di Cassazione poi andavano a riconoscere il suddetto “addebito” allorquando nel corso della procedura di separazione giudiziale fosse stato accertato che, nella condotta di uno dei due coniugi, non fosse stato rispettato uno dei punti sopra evidenziati, con la conseguenza che la separazione con addebito portava a penalizzare da un punto di vista economico il coniuge oggetto di tale condotta contraria ai principi del suddetto Art. 143 C.C. Nel caso in esame il Tribunale di primo grado aveva riconosciuto l’addebito nei confronti della moglie, mentre il Tribunale di Appello aveva ribaltato la Sentenza di primo grado sgravando detto coniuge dall’addebito. La Suprema Corte ha ribadito la decisione del Tribunale d’Appello non riconoscendo l’addebito della separazione alla moglie fedifraga che però era, a dire della Suprema Corte, in crisi psicologica proprio per il forte conflitto col marito. Assolutamente inutili sono state quindi le eccezioni proposte dal marito e fondate sul fatto che la moglie avesse avuto, in pendenza di matrimonio, una condotta reiteratamente infedele. Per i Supremi Giudici il precario stato psicologico della donna altro non era che la prova oggettiva della già esistente crisi matrimoniale che si articolava in data antecedente al tradimento perpetrato ai danni del marito. A dire della Cassazione i problemi psicologici vissuti dalla donna era frutto della situazione di conflitto col marito rendono secondario e non rilevante il tradimento da lei perpetrato durante il matrimonio. Impossibile perciò addebitarle la separazione. Dalla lettura della sentenza appare quindi fondamentale la considerazione fatta in corte d’appello dove i Giudici ribaltano il pronunciamento emesso dal tribunale e «revocano l’addebito della separazione» a carico della moglie pur considerando accertata la sua «infedeltà coniugale» ai danni del marito, ma sostenendo che tale comportamento si ebbe a concretizzare «quando era già in atto una profonda frattura del sodalizio coniugale».
* Prof. Avv. Antonello Martinez
Studio Legale Associato
Martinez & Novebaci
Milano – Via Archimede n° 56
www.martinez-novebaci.it
Tratto da “Diritti&Doveri”
24orenews.it Magazine Maggio 2022
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